Eric M. Lang è uno dei game designer più famosi al mondo, soprattutto per gli amanti dei giochi in stile “american”.
Il suo curriculum, iniziato 15 anni fa, è senza dubbio impressionante, dato che il designer canadese ha firmato titoli come Caos nel Vecchio Mondo, Quarriors, o Star Wars LCG.
Grazie a Lucca Comics and Games ed a Giochi Uniti, è stato possibile incontrare Eric M. Lang in una conferenza che si è rivelata più simile ad una chiacchierata informale con un amico che ad una lectio di uno dei più affermati professionisti del settore.
Eric Lang si è brevemente presentato, mettendo subito in luce la sua simpatia e la sua intenzione di rendere questa conferenza uno scambio di domande e risposte tra lui ed il pubblico, e l’autore canadese ha subito esordito chiedendo se in sala ci fossero persone che si definissero gamers, cioè con una decina di giochi a casa e/o una sessione di gioco a settimana , oltre che persone interessate al lavoro nel mondo dei giochi (designers, writers e così via). Una volta assodato il tipo di domande che si sarebbe trovato ad affrontare, Lang ha passato la parola al pubblico.
La prima domanda a Lang è stata una di metodologia: quanto sono importanti i videogiochi nello sviluppo dei giochi da tavolo? Eric ha affermato che non è necessario per un game designer conoscere i videogiochi, ma che lui personalmente ritiene che anche questa è una conoscenza utile. Infatti, per quanto nei giochi da tavolo non ci siano elementi che magari possono distrarre l’utente dal gioco stesso, come la grafica o il sonoro, la precisione richiesta nella progettazione dell’interfaccia e nel gioco stesso può essere un valido stimolo per chi progetta un gioco da tavolo; per quanto riguarda gli altri aspetti, si parla chiaramente di due esperienze differenti.
Pensando a giochi firmati da lui ed ambientati in setting decisamente noti, come Star Wars e Warhammer, è arrivata la domanda sul collegamento tra ambientazione e regole, divisa in due parti. In primo luogo, quanto conosce e studia lui le ambientazioni su cui ha scritto i giochi? Lang risponde che è appassionato di molti dei setting su cui ha scritto, per esempio proprio Star wars, e che l’essere appassionato per lui è molto importante, ma l’eccesso di passione può portare effetti deleteri durante la progettazione di un gioco, primo tra tutti la perdita di presa sul casual gamer, che necessita in primis di divertirsi con il gioco e che non ha interesse ad ogni singolo dettaglio dell’ambientazione.
La seconda parte della domanda riguardava più strettamente la correlazione tra regole e setting, e come funziona esattamente questa correlazione. L’autore sostiene che non esiste una risposta univoca, perché dipende dai singoli casi, ma in generale non è facile correlare regole e storia. Il punto principale di un gioco, tuttavia, è costituito dalle regole, e quindi l’ambientazione non può costituire un freno totale ad esse. Per esempio, in Star Wars è stato meglio lasciare le regole aperte il più possibile, in modo da permettere ai giocatori di “respirare” l’epica della saga senza trovarsi costretti dalle regole, ma nello stesso tempo ha cercato di fare in modo che i personaggi dell’ambientazione non diventassero un blocco al gioco. In genere, quando si tratta di scrivere un gioco ambientato, Lang usa diversi metodi di approccio tra cui ne ha voluti illustrare brevemente due. Il primo è parlare con i fans dell’ambientazione in chiacchierate molto brevi, per esempio chiedendo di descrivere Star Wars in un minuto, in modo da ottenere tutte le informazioni che un fan considera davvero vitali per “rivivere” la sua ambientazione preferita. L’altro sistema è immaginare una sorta di manifesto cinematografico per il gioco: quasi visualizzare il tipo di “azione” promessa dal manifesto per poi trasporla in termini di regole.
Molte persone parlano del game design in termini di creatività e tecnica. È stato quindi chiesto ad Eric quanta parte secondo lui ha la creatività e quanta la tecnica nel suo approccio al game design. La sua risposta è stata quella di porre la domanda in termini di arte e tecnica, e che secondo lui il 30% del design è scienza ed il 70% è arte. Tuttavia queste percentuali possono variare in base al target del gioco stesso. La parte “scientifica” riguarda l’ossatura del regolamento, ciò che fa funzionare il gioco o lo rende “rotto”. L’arte, invece, sta nell’adattare la parte scientifica alle scelte, al target, all’ispirazione ed a tutto il resto. La scienza del game design è molto chiara e diretta, per quanto se ne discuta ormai, ma nonostante quello che in genere crede la gente, la parte complessa del creare un gioco non è quella scientifica, bensì quella artistica. E le decisioni artistiche derivano a loro volta dall’esperienza e dal background del game designer, l’arte stessa deriva dalle connessioni mentali tra le varie esperienze dell’autore.
Eric M. Lang non è nuovo alle collaborazioni con altri autori, tra cui (presto) con il nostro Paolo Mori, per cui la domanda successiva riguarda proprio la collaborazione: perché collaborare e come funziona lo sforzo creativo collaborativo? Il perché è semplice: due teste sono meglio di una, ed è sempre possibile trovare diverse risposte e soluzioni grazie alle diverse esperienze dei designer che collaborano. È un po’ come nella musica, quando si sta in una band: serve il groove, l’affiatamento tra i musicisti. Il come funziona, invece, è più complicato da spiegare. In genere, ogni autore porta le sue ablità, i suoi approcci ed il suo background. Per esempio Paolo Mori, a detta di Lang, è in grado di prendere idee vecchie e rielaborarle da altri punti di vista; così, collaborare fa in modo che le abilità di chi collabora trovino rinforzo le une nelle altre.
L’ultima domanda riguarda di nuovo il game design: in un gioco ambientato, la progettazione del gioco parte dall’ambientazione o dalle meccaniche? Lang ci scherza su, e dice che la risposta esatta è “si”. Questo perché non esiste una risposta univoca e precisa, ed ancora una volta le cose cambiano da gioco a gioco. Un metodo valido per lavorare è quello di pensare al gioco in embrione ed immaginare una sessione di gioco, immaginare i giocatori che parlano, cosa dicono, quali pezzi muovono, perché ridono, perché litigano, insomma cercare di dare ai giocatori esattamente quel che vogliono, e quindi non si può dire che un metodo sia migliore dell’altro.
Eric M. Lang a questo punto ringrazia il pubblico e fa gli immancabili complimenti non solo all’Italia ed alla città di Lucca, ma anche a Lucca Comics and Games: dice di girare convention ormai da 15 anni, ma i giocatori presenti a Lucca e l’atmosfera di questa manifestazone lo hanno colpito in maniera davvero notevole. Ben detto, Eric!