Dopo il tumultuoso annuncio dello scorso autunno, in primavera – in particolare a Play 2016 – l’attesa è giunta al termine e dalle ceneri è tornata a generarsi una nuova vita: quella della versione italiana di Ashes: La Rinascita dei Phoenixborn (nel seguito semplicemente Ashes), opera di Isaac “Dead of Winter” Vega portata nel nostro paese da Asterion / Asmodee Italia, alla prima collaborazione con la Plaid Hat Games.
Ve lo avevamo già presentato in una nostra anteprima e ne avevamo fatto una prova su strada, ma finalmente, dopo numerosi scontri all’ultimo sangue, ricolmi di effluvi magici e segnati da molte ferite, siamo qui pronti a parlarvene.
Ebbene, prepariamoci a questa recensione, l’Adunanza delle Ceneri lascerà solo un sopravvissuto sulla propria strada.
- Titolo: Ashes: La Rinascita dei Phoenixborn
- Autori: Isaac Vega
- Editore: Asterion – Asmodee Italia
- Genere: Combattimento, gioco di carte espandibile
- Numero Giocatori: 2-4
- Durata: 60 minuti
- Dipendenza dalla lingua: medio-alta (c’è testo su tutte le carte, per quanto non tantissimo)
- Illustratori: Fernanda Suarez
Gli eredi della Grande Epurazione (materiali e confezione)
La scatola di Ashes ha un impatto notevole, sia grazie alla pregevole illustrazione di copertina – una carrellata dei Phoenixborn in assetto da battaglia – sia perché al tatto è veramente piacevole e resistente.
Aprendo il coperchio, troviamo il manuale che, pagina dopo pagina, convince molto per la chiarezza espositiva, la facilità di lettura e la ricchezza di esempi di gioco oltre che di illustrazioni. Molto comode, inoltre, sono le descrizioni dei mazzi di partenza e i consigli su come scegliere le prime cinque carte da mettere nella propria mano. Ma su questo, ci arriveremo.
Al di sotto del regolamento, in una fustella di cartone rigido, troviamo raccolti tutti i token: si tratta di 26 segnalini danno (rossi a doppia faccia delle quali la prima vale 1 e l’altra 5), 21 segnalini status (verdi sempre a doppia faccia con valori 1 e 3), 30 segnalini esaurito blu e un indicatore del primo giocatore.
Proseguendo nella descrizione, sistemate in un divisorio di cartone, troviamo ben 267 carte di cui 6 phoenixborn, 241 carte magia o unità (che comprendono anche le evocazioni, distinguibili dal dorso diverso), 4 carte riepilogo delle fasi e 16 riepilogo dei dadi. Tutte queste sono già suddivise per formare i mazzi di partenza indicati nel regolamento.
In chiusura, raccolti in una ziplock, ci sono 40 dadi, di 4 colori differenti a rappresentare altrettante tipologie di magie (mentale, rituale, illusoria e naturale).
Tutti i materiali sono di ottima fattura; è veramente un piacere maneggiare la dotazione di questo titolo e anche le carte, per quanto non retate, assolvono pienamente il loro compito. Ovviamente però, vista la tipologia di gioco, non mi sognerei mai di non imbustarle.
Non da meno le illustrazioni – opera di Fernanda Suarez – che sono di pregevole qualità e denotano una importante cura dei dettagli: ad esempio, è palese lo sforzo di mantenere una certa coerenza grafica nelle illustrazioni dei singoli mazzi; tuttavia, a tratti, le stesse mancano di quel mordente necessario per dare “respiro” epico agli scontri a cui dovremo partecipare.
Plauso conclusivo infine a tutto il team di grafici che, nella composizione delle carte, ha fatto veramente un ottimo lavoro di ordine e pulizia. Sulle carte ogni informazione è al suo posto e, una volta compresi gli standard di simbologia e notazione, le ho trovate perfettamente parlanti e tutte autoesplicative, al netto di qualche trascurabile difetto di traduzione.
Vattene intruso! La tua invasione termina qui [Aradel Summergaard] (descrizione del gioco)
Dato che il regolamento di Ashes si basa molto su simbologia e posizionamento, in questa sede, onde evitare di appesantire troppo la lettura, ne farò una veloce disamina lasciando eventuali approfondimenti alla consultazione del libretto.
In questo titolo, da 2 a 4 giocatori si sfideranno a colpi di magia ed evocazioni allo scopo di sconfiggere gli avversari e rimanere il solo in vita.
In una partita con mazzi precostituiti, per cominciare tutti prendono il phoenixborn che desiderano e preparano la loro area di gioco. Per fare questo, scelgono dal mazzo le 5 carte che costituiranno la loro mano iniziale e mescolano le restanti, lasciando le evocazioni in un mazzo separato. Inoltre raccolgono tutti i dadi di cui hanno bisogno (in questo caso sono 10 suddivisi in due tipi diversi), li tirano e li posizionano nella riserva attiva. Nei turni a seguire, i giocatori potranno scartare quante carte vorranno dalla propria mano e pescarne fino a tornare ad averne 5 e ritireranno tutti i dadi esauriti. E’ importante notare che, qualora il mazzo di pesca si esaurisse, il giocatore non potrà rimescolare gli scarti (che quindi saranno persi per tutta la partita) e inoltre subirà un danno per ogni carta che non potrà prendere.
Prima di partire, vengono messi a portata di mano tutti i token e dato casualmente il segnalino primo giocatore.
Al suo turno, ognuno deve eseguire una azione principale e (prima o dopo di questa), se lo desidera, anche una azione secondaria. Come azione principale, si può scegliere di giocare o attivare carte, attaccare o anche semplicemente passare. Le azioni secondarie comprendono invece ulteriori attivazioni di poteri sulle carte, meditare oppure usare il potere di un dado. Al netto dell’ovvietà di passare, vediamo il dettaglio delle restanti azioni.
Per giocare una carta (o attivare un potere di una già presente), il giocatore dovrà optare per quelle che presentano il simbolo dell’azione principale ed, eventualmente, pagarne il costo aggiuntivo in energia magica (qualora possegga i simboli corrispondenti tra i dadi della riserva attiva). In tal modo, le carte vengono giocate, gli effetti applicati e i dadi usati finiranno nella riserva esaurita. Vedremo più avanti i dettagli di funzionamento di carte e dadi.
Se si vuole attaccare, innanzitutto vanno scelte le truppe da usare per l’offensiva tra i propri alleati schierati o creature evocate, poi va individuato verso chi dirigerla (una sola carta) tra creature e phoenixborn avversari. A questo punto, il giocatore sotto attacco può scegliere di proteggere il bersaglio originario con un’altra unità (ad esempio proteggere con una creatura il proprio phoenixborn, oppure viceversa, oppure ancora proteggere una creatura con un’altra a patto che la seconda possegga l’abilità supporto). Fato ciò, se il difendente è un phoenixborn, questi subisce un numero di ferite pari alla somma dei valori di attacco delle creature usate per l’offensiva; se invece lo scontro è tra creature (o alleati), il difensore può scegliere se contrattaccare oppure no. Nel primo caso, vengono inflitte contemporaneamente le ferite ad ambo le parti secondo i valori di attacco di chi le provoca (da distribuire a piacere nel caso in cui ci sia un difensore per più attaccanti) e vengono esaurite le unità ponendovi sopra il relativo segnalino. Nel secondo caso, a subire i danni sarà solo l’unità difendente, ma questa non sarà esaurita. Ovviamente, questo è un fatto da tenere in considerazione, visto che una carta esaurita non sarà più disponibile per quel turno.
Come detto, prima o dopo l’azione principale, è possibile svolgere un’azione secondaria, ovvero attivare un ulteriore potere delle carte giocate (o dei phoenixborn stessi), laddove è presente il simbolo dell’azione secondaria (e si disponga delle risorse necessarie tra i dadi nella riserva attiva); meditare, cioè scartare una carta dalla propria mano, dalla cima del mazzo di pesca o dalle magie giocate nel grimorio, per girare uno dei dadi attivi su una faccia a scelta; attivare un potere del dado, ovvero esaurirlo per godere di un effetto specifico (che varia a seconda della tipologia a disposizione).
Dopo che tutti hanno svolto un turno, prima di passare il segnalino primo giocatore al prossimo di mano, tutti eseguono la loro fase di recupero, ovvero: rimuovono tanti danni dalle loro unità pari al loro valore di recupero, tolgono un segnalino esaurito da tutte quelle che ne posseggono e spostano un numero a piacere di dadi dalla riserva attiva a quella esaurita.
La partita avrà termine quando un solo giocatore rimarrà vivo sul campo di battaglia, ovvero quando gli altri phoenixborn avranno subito più ferite del loro valore di vita.
Come è ormai chiaro, il cuore del gioco è rappresentato dalle carte e dai dadi: vediamoli un attimo più da vicino.
Giocare una carta è sempre un’azione principale: queste possono essere alleati da disporre nell’esercito, e magie. Le ultime, a loro volta, sono effetti istantanei (magie di azione da giocare nel proprio turno o di reazione da usare non appena succede un determinato avvenimento) da giocare e scartare, oppure possono essere permanenti ed essere poste nel grimorio (magie di preparazione) o applicate ad altre unità (magie di alterazione). In particolare, le magie nel grimorio comprendono anche le evocazioni che permettono di schierare le carte evocazione nell’esercito. Ogni phoenixborn, a tal proposito, riporta sulla carta un numero massimo (che non potrà superare) di alleati o creature che può ospitare nel suo esercito, così come la quantità di incantesimi gestibili nel proprio grimorio.
Passando ai dadi, tutti possiedono 3 simboli (base, classe e potere) distribuiti sulle loro facce, i quali potranno essere spesi per giocare o attivare carte, oppure per godere dell’effetto della magia che rappresentano. I simboli stanno a indicare l’intensità di potere magico, pertanto il più potente (il simbolo potere) potrà essere utilizzato anche al posto degli altri due, così come quello intermedio (il simbolo classe) sarà adoperabile in luogo del simbolo base.
Per chiudere vale la pena accennare anche la modalità di gioco a draft. In particolare, dopo che tutti – a partire dal primo di mano – avranno scelto il loro phoenixborn (e tutte le sue carte esclusive), determineranno le loro prime 9 carte mediante un meccanismo di draft simile a quanto avviene, ad esempio, per 7 Wonders. Successivamente, sempre in ordine, tutti prendono 2 dadi tra tutti quelli disponibli (secondo le loro esigenze) fino a che non ne saranno stati distribuiti 10 a ciascun partecipante. Infine tutti avranno l’opportunità di scambiare una (e una sola) delle loro carte ottenute con il draft, con alcune che vengono appositamente scoperte a tavola (in numero pari a quello dei partecipanti alla sfida). Ovviamente, la carta a cui si rinuncia viene messa in tavola e resa disponibile agli altri. Il mazzo sarà così formato dalle carte ottenute (da includere in triplice copia) e da tutte le evocazioni rese possibili da queste.
Il potere è l’afrodisiaco supremo [H. Kissinger] (esperienza di gioco)
Per delineare una riflessione a tutto tondo su Ashes, vuoi per l’ambientazione sul quale si basa, vuoi per i presupposti sulla tipologia di gioco, è inevitabile dover considerare anche somiglianze e differenze con i suoi “parenti” nel mondo dei giochi di carte collezionabili (Magic su tutti) e dei Living Card Game. Tuttavia le considerazioni su questo titolo non si esauriscono in questi ambiti, pertanto andiamo con ordine.
Ashes, nelle varie sessioni di gioco a cui mi è capitato di partecipare, è un titolo che va spiegato con attenzione, data la relativa complessità del regolamento e dell’area di gioco da gestire. Mazzo di pesca, scarti, Grimorio, Alleati, etc. rischiano – se non attentamente descritti – di indurre in confusione una persona che approccia il titolo per la prima volta.
Superato questo primo attimo di spaesamento, ci si accorge però che ogni carta si spiega da sé (nonostante alcune forme testuali siano migliorabili) e che simbologie e descrizioni non solo sono perfettamente comprensibili, ma basta un rapido sguardo per padroneggiare perfettamente ogni singola carta. Da questo punto di vista, si è decisamente fatto un ottimo lavoro di ergonomia e funzionalità.
Venendo alle partite effettuate, molti (me compreso) hanno pensato che l’approccio aggressivo potesse pagare: si gioca qualche truppa il prima possibile e si parte subito ad attaccare. Niente di più sbagliato! Ashes, al contrario, è un titolo che gira tutto intorno alle sinergie tra le proprie carte e ci vuole del tempo prima di avere uno schieramento di forze pronto per iniziare a menare le mani. Questo fatto può far storcere il naso agli amanti dell’azione frenetica e, devo dire, il modo in cui viene introdotto dall’ambientazione è piuttosto fuorviante. Non fraintendetemi però, non sto dicendo che non si percepisca la battaglia tra potenti esseri magici ma – una volta messi a confronto in un ipotetico testa a testa – non mi sarei aspettato una così preponderante fase di preparazione e di ottimizzazione delle proprie forze.
A livello di meccaniche, pur nella sua intrinseca lentezza iniziale e farraginosità (specialmente in 2 giocatori, l’utilizzo dei segnalini esaurito appesantisce molto il flusso, facendo desiderare il buon vecchio “tap” delle carte), il gioco lo trovo ben congegnato. La gestione dell’energia magica tramite i dadi la rende, di fatto, praticamente sempre disponibile e molto meno soggetta alla fortuna della pesca (come ad esempio le terre in Magic) e, nella malaugurata ipotesi di qualche tiro sfortunato, opzioni come la meditazione e l’esaurimento permettono di avere sempre nuove possibilità. Inoltre, la scelta delle prime cinque carte della mano, consente ai giocatori di decidere la migliore modalità di partenza in una maniera ancora più efficace di quella che è la fase di preparazione, ad esempio, de Il Trono di Spade LCG.
Questi aspetti tuttavia, misti alle poche possibilità di agire sul singolo turno, rallentano sensibilmente l’azione e virano necessariamente il focus principale sulla gestione delle proprie forze e sulle combo di effetti, prestando il fianco ad alcuni episodi di paralisi da analisi, specie in giocatori non troppo esperti.
Al crescere della familiarità col titolo, invece, questo diventa meno macchinoso e le partite diventano presto molto soddisfacenti, soprattutto perché i mazzi di partenza sono già ben realizzati e in grado di rendere completamente l’esperienza di gioco. Li ho trovati infatti molto performanti e ottimamente caratterizzati: ogni phoenixborn ha uno stile di gioco differente e tratti distintivi fortemente peculiari che assicurano sì variabilità, ma in partite tra veterani potrebbero rendere abbastanza prevedibili i rispettivi punti di forza e di debolezza. Qui, dunque, interviene la possibilità di personalizzare i mazzi che – va ammesso – non porterà a squassanti stravolgimenti di performance (cosa al quale sono abituati i giocatori di LCG e maggiormente quelli di GCC) e un po’ farà perdere la sensazione di “organicità” del singolo set di carte (soprattutto dal punto di vista della coerenza delle illustrazioni), ma è sufficiente per “mettere a punto” i poteri del proprio eroe e per creare qualche strada d’azione alternativa.
Da questo punto di vista, però, devo dire che ho trovato ancora più intrigante la modalità con il draft. In questo caso, infatti, la sfida si amplia rispetto allo standard, andando ad abbracciare anche il sottile bilanciamento tra il rafforzare la propria fazione e l’indebolire quella altrui; quindi, specie in ottica di gioco organizzato e di torneistica, non mi stupirei qualora questo titolo andasse a creare una nicchia di mercato e di eventi del tutto nuovi.
Prima di concludere, nonostante ci sia la possibilità di sfidarsi anche in 3 o 4 giocatori, Ashes è sostanzialmente un gioco di scontro uno contro uno e tenderei a sconsigliarlo per l’utilizzo in altre modalità; rischiereste infatti di portare un po’ troppo per le lunghe una singola partita e di dover ovviare ad alcuni problemi (tipo l’eliminazione anticipata dei giocatori) con eventuali house-rule.
Ne resterà uno solo (considerazioni finali)
In sintesi, Ashes: La Rinascita dei Phoenixborn è una sfida testa a testa, da proporre sostanzialmente in 2, che predilige la pianificazione delle forze da schierare, piuttosto che la frenesia dello scontro. La struttura delle meccaniche, pur rallentando molto la velocità d’azione, permette di alleviare molto l’impatto della fortuna all’interno di una singola partita, virando maggiormente l’esperienza verso la gestione delle proprie risorse magiche, ma non diminuendo la soddisfazione offerta da uno scontro vinto con successo.
Rispetto ad altri giochi “vicini” per categoria, la scatola base presenta mazzi già in grado di esprimere la loro piena potenza e con delle caratteristiche (di gioco e grafiche) ben delineate che lo rendono un buon candidato anche per il gioco saltuario. Tuttavia comunque è necessaria esperienza per superare la farraginosità iniziale delle meccaniche e per conoscere veramente a fondo le varie fazioni in gioco.
Le possibilità di personalizzazione dei mazzi sono semplici e perfettamente gestibili da tutti e, nonostante abbiano ripercussioni più marginali di altri titoli dello stesso stampo, donano comunque sufficiente variabilità al tutto. Inoltre, la possibilità di usare il regolamento legato al draft, aumenta ancor di più la longevità e permette di sperimentare nuove soluzioni di gioco organizzato, competitivo e non.
Pro
Ottimi materiali
Impatto della fortuna minimizzato
Mazzi di base già molto potenti e ben caratterizzati
Soddisfacente anche per il gioco saltuario
Il draft aumenta la longevità e apre nuove strade per il gioco organizzato
Contro
Illustrazioni a tratti poco “epiche”
Meccaniche un po’ farraginose
Scorrimento decisamente lento per un gioco di battaglie
La frenesia dello scontro non è resa molto bene
Modalità a 3 e 4 giocatori non piacevole come quella testa a testa
Note
In alcune foto compaiono dei playmat di supporto per posizionare i materiali. Questi non sono presenti nella scatola del gioco (anche se farebbero decisamente comodo).