Quarto e ultimo episodio con la nuova rubrica estiva che vi abbiamo proposto in collaborazione con Andrea Angiolino. Speriamo che le sue Storie di Giochi vi abbiano fatto piacevole compagnia sotto l’ombrellone o nei momenti di relax di questa caldissima estate. Che siate in pieno ritorno dalle ferie o che vi stiate ancora godendo il meritato riposo prima della ritorno al tran tran quotidiano, vi auguriamo buona lettura con le storie di Kaleidos, Famiglie e Munighela.
Kaleidos
A metà degli anni Novanta continuano a furoreggiare i semplici party games per brigate numerose, epigoni del Trivial Pursuit. Spartaco Albertarelli, che in Editrice Giochi si occupa di ricerca e sviluppo, ripensa ai vecchi giochi d’infanzia come È arrivato un bastimento carico di, in cui il capogioco sceglie una lettera e tutti devono elencare parole con quella iniziale. Il quadro di René Magritte La trahison des images (Il tradimento delle immagini, 1928, Los Angeles County Museum of Art), che raffigura una pipa con la scritta «Questa non è una pipa», gli ispira un gioco basato sull'interpretazione di immagini anziché sulla pura descrizione. Nasce così Kaleidos: si sorteggia una lettera e i giocatori devono trovare oggetti che iniziano per essa in un disegno strapieno di cose.
Il gioco esce nel 1995 e va bene, in Italia e all’estero. Dopo una decina d’anni la casa editrice ritiene che abbia fatto il suo tempo e non lo spinge più. Intanto Albertarelli ha lasciato la EG, con cui continua a collaborare come consulente. Quando a fine 2005 discute con essa il bonus di fine anno, una somma di circa 3.000 euro, propone di prendersi i diritti di Kaleidos anziché il denaro. La dirigenza della EG accetta immediatamente, felice del risparmio.
Albertarelli ha i diritti su nome e meccaniche, ma non sulle immagini. Ne fa realizzare di nuove a Elena Prette e Marianna Fulvi, neodiplomate all’Istituto Europeo di Design di Milano con una tesi sul gioco, accordandosi con loro per una spartizione a metà dei diritti. Nel 2008 Kaleidos esce per le edizioni Interlude-Ystari, ha immediato successo ed è finalista al prestigioso premio As d’Or a Cannes… Che non si aggiudica, avendolo già preso nel 1996: al momento di scegliere le nomination, la giuria non se ne ricordava.
Nei primi sette anni la nuova edizione del gioco vende 80.000 copie di cui 30.000 in Italia, dove lo distribuisce Oliphante, più altre ancora nella versione junior. La rinuncia a quel piccolo bonus del 2005 si è quindi rivelato un ottimo affare. Per l’autore, ovviamente.
Famiglie
Si gioca a famiglie con normali mazzi da poker. A turno chiedi una carta a un avversario: se ce l'ha te la deve consegnare e tocca di nuovo a te, altrimenti tocca a lui. Chi ha le quattro carte con lo stesso valore, le mostra e fa un punto. Molte le varianti. Oggi si gioca a famiglie anche con le carte dei quartetti.
Il nome del gioco viene da Happy Families, che il prolifico autore ludico di Londra John Jaques II pubblica poco prima del 1851: i personaggi sulle carte formano undici famiglie con padre, madre, figlio e figlia. Ci sono quelle di Bones il macellaio e di Bun il fornaio, di Chip il falegname e di Soot lo spazzacamino. I cognomi hanno attinenza con il mestiere e anche la stessa iniziale: Chip è la scheggia e inizia per C come Carpenter, falegname, mentre Bones sono le ossa e inizia per B come Butcher. In Vestivamo alla marinara, Susanna Agnelli ricorda le partite da bimba a Happy Family che probabilmente le aveva insegnato l'istitutrice inglese Miss Parker.
Nel 1861 la ditta W. e S. B. Ives di Salem realizza la versione statunitense: The Game of Authors. Per ognuno degli undici scrittori scelti, tra cui Louisa May Alcott, Charles Dickens, Robert Louis Stevenson e Mark Twain, quattro carte citano altrettante opere famose. Si gioca per divertirsi, ma con innegabili effetti didattici. Ancora oggi il gioco include più o meno gli stessi autori di allora; molte le varianti nel frattempo uscite su altri temi.
Negli anni Ottanta del Novecento, la città di Dartmouth raccoglie fondi pubblicando mazzi di Happy Families con vere famiglie locali. Spesso sceglie persone il cui cognome ha attinenza con il lavoro: la signora Sleep (sonno) che gestisce un bed & breakfast, il costruttore Pillar (pilastro), il macellaio Cutmore (tagliane-di-più) e così via.
Munighela
Questo gioco è l’erede della ben più sofisticata meneghella, di cui ha perso il sistema di puntate e di prese: ormai ridotto all’osso, è l’equivalente della romana sorchetta. Aggeo Biasi lo ricorda a Gallesano, in Istria, fra le due guerre mondiali: «Si giocava nelle osterie, nelle case, nelle stalle, un po’ dovunque. Noi ragazzi giocavamo a sette e mezzo, a trentuno, alla carta più alta, alla “munighella”. La “munighella” era il due di spade e veniva così chiamata per la sua forma ovale in cui si poteva scorgere l’emblema della diversità femminile. Chi estraeva questa carta vinceva tutto. Per poter giocare in santa pace, noi ragazzi ci nascondevamo nel campanile o in luoghi lontani dall’abitato». A Marano Lagunare, in provincia di Udine, l’analoga “munighela” natalizia si alterna alla tombola in attesa della messa di mezzanotte, ma le signore la giocano spesso anche nelle domeniche pomeriggio: si punta, si danno le carte a due per volta e chi riceve il 2 di spade vince tutto. Lo racconta Maria Teresa Corso Regeni dicendo che era diffusa negli anni Sessanta ma quando scriveva lei, vent’anni dopo, aveva ormai «perso molto interesse».
Dalla parte opposta d’Italia, i piccoli siciliani imparano le carte con il minichello: si danno le carte una a una e chi riceve il due di spade vince. Il cartaio ritma la distribuzione con una filastrocca che Alessandro Giannì registra negli anni Settanta a Sciacca, ove la apprende dalla signora Susanna Ciaccio: «Minicu Minicu tabbarè, / rapi la potta e bbiri cu c’è: / c’è na vecchia chi ffa u cafè, / vivilu subbitu chi cavuru è». In italiano si potrebbe dire «Menico Menico cabarè / apri la porta e vedi chi c’è: / c’è una vecchietta, prepara il caffè… / bevilo subito che caldo è». Il 2 di spade siciliano presenta corti gladii e non scimitarre ricurve, la Domenichella diventa Domenico, il gioco è qui un innocente trastullo di bimbi.
Il volume Storie di Giochi raccoglie oltre cento voci che, attraverso brevi racconti, ci narrano l’origine delle attività ludiche più famose o più curiose, dai grandi classici ai boardgame moderni. Per maggiori informazioni ecco la nostra news.