domenica 24 Novembre 2024

Il Made in Italy nel gioco da tavolo: uno sguardo dagli occhi di CMON

Leggere "made in Italy" su un qualunque prodotto, oggigiorno porta la mente dei più a pensieri di eccellenti proprietà intrinseche, oltre che di stile fuori dagli schemi. Da tempo, questa targhetta non indica più semplicemente il luogo di provenienza di un qualcosa, ma per molte categorie merceologiche, rappresenta quasi un "bollino" che ne certifica l'alto livello di qualità.
Durante la scorsa Lucca Comics & Games, cogliendo l'assist dato dal claim dell'evento – made in Italy, per l'appunto – si è avuto modo di affrontare la questione del cosa vuol dire "made in Italy" all'interno del settore ludico, e lo si è fatto analizzando il tema da un'ottica particolare, ovvero quella di Cool Mini or Not, editore che invece ha fatto dell'"internazionalità" uno dei suoi marchi di fabbrica. 

È questa infatti una delle prime cose che rimarca il patron David Preti nel rispondere alla primissima questione sollevata da Paolo Cupola, moderatore della conferenza svoltasi nella sala Ingellis, che ha ospitato ai microfoni anche gli autori Eric M. Lang, Andrea Chiarvesio e Francesco Nepitello.

Nello specifico, il dubbio è se parlare di Made in Italy possa generare fenomeni divisivi, ma l'opinione di Preti è chiara al riguardo: in realtà, per un'azienda con sedi dovunque nel mondo, iniettare peculiarità uniche in un ecosistema enormemente globalizzato, è una grossa opportunità per spingere sempre di più l'acceleratore sull'originalità dei prodotti. Per questo CMoN punta a coprire varie scuole autoriali e ha l'onore di avere tra le sue file, designer come Lang, Chiarvesio, ma anche il team che ha ideato Zombicide.
Dunque, focalizzandosi sulle summenzionate peculiarità, va da sé che debba esistere un "modo italiano" di giocare: tutti i presenti sono concordi su questo; Eric M. Lang sottolinea quanto, al tavolo, i giocatori dello stivale si facciano trasportare molto dall'entusiasmo e dall'emozione, traendo estremo piacere quando sono coinvolti in fenomeni di interazione diretta; secondo Andrea Chiarvesio, queste emozioni sono talmente pronunciate da riverberarsi in accese discussioni anche nei post-partita, quando gli sfidanti si confrontano spesso anche sui regolamenti con piglio – a suo modo di vedere – quasi da "azzeccagarbugli".
Su questo fenomeno concorda anche Francesco Nepitello, il quale fa notare per contrasto che gli statunitensi – almeno per quanto riguarda il gioco di ruolo – sono invece più portati all'interpretazione attoriale e meno allacciati ai cavilli regolamentari.

Ma quindi, saltando dall'altra parte della "barricata", c'è anche una via italiana al game design?
Secondo Andrea Chiarvesio è lampante che tutti gli autori nostrani hanno il comune denominatore della passione per l'arte e una spiccata poliedricità di stili e gusti (per confronto, in Germania secondo lui sono tutti molto più omologati a certe consuetudini). Questo però, come ammette Nepitello, fa il paio con la scarsa maturità che posseggono dal punto di vista dell'adozione di linguaggi e formalismi standard, il che li rende poco "metodici" e più propensi ad affrontare il loro compito con un approccio artistico e/o artigianale. Dunque, stando a quanto dice Lang, questa incoerenza di fondo rende difficile far pensare a una vera e propria "scuola italiana", anche se dalla sua esperienza ha notato invece una fortissima lucidità e dedizione riguardo alla cura dei temi e delle emozioni che vogliono trasporre nelle loro opere. Inoltre, secondo l'autore canadese, questo approccio più "naif" gli consente di trovare soluzioni sempre diverse anche a problemi ormai soliti e ricorrenti. Comunque sia, sebbene questi tratti permettano già così di tracciare nitidamente l'identikit del game designer italiano, a modo di vedere di David Preti, un vero riconoscimento dello "stile italiano" potrà arrivare solo dopo la vittoria di uno Spiel, anche se – va detto – gli italiani sono già considerati eccellenze nel settore dei giochi per i più piccoli.
Comunque, è proprio questo approccio caldo e sentimentale che sta maggiormente delineando l'"italian effect" sulle nuove tappe della roadmap del colosso editoriale. Un'evoluzione "strana" – secondo Preti – che ha portato Cool Mini or Not dal forum di modellismo che era in una multinazionale ludica e che ora sta canalizzando tutti gli sforzi in un approccio più mirato verso le proprietà intellettuali. Secondo il boss CMoN, il futuro sarà di chi riuscirà a lavorare su storie, saghe, mondi…insomma su elementi che riescano a uscire dalle scatole da gioco e a trovare un loro posto anche in altri media.
È evidente, quindi, che nonostante l'influenza che sta esercitando anche su un player del calibro di CMoN, c'è ancora qualche elemento che manca per poter parlare di scuola italiana di game design. Uno di quelli più sentiti dal pubblico presente al dibattito è la mancanza del linguaggio comune: ma a chi tocca crearlo? Secondo Lang l'autorità in merito deve essere totalmente condivisa e democratica perché, similmente ai fenomeni virali su internet, è l'unico modo per far emergere le idee più intuitive ed efficaci; tuttavia Francesco Nepitello invita a non sottovalutare l'aiuto che può venire dalle attuali realtà informative di settore anche se, a suo modo di vedere, il cerchio non si può che chiudere dentro la comunità dei designer, gli unici che vivono per intero il processo di creazione di un gioco, pure quelle parti non percepibili semplicemente dall'analisi di un prodotto finito.
Non è però solo tra autori che ci si dovrà confrontare: secondo David Preti stimolato da un'altra domanda del pubblico, per arrivare alla piena maturità, i designer del nostro Paese hanno bisogno anche di sentire una migliore percezione dall'esterno. Dal punto di vista mediatico la situazione sta enormemente cambiando: i mass media hanno iniziato a parlare quasi abitualmente di boardgame e giochi di ruolo e il successo di eventi come Lucca Comics & Games e PLAY non possono che essere ulteriori volani alla visibilità dell'hobby, tuttavia dal punto di vista imprenditoriale – forse in parte inconsciamente – tendiamo ancora però a preferire opere straniere. Dunque sarebbe bene mostrare un pizzico di coraggio in più nell'investire su un buon prodotto italiano, piuttosto che sull'ennesima localizzazione di un mediocre titolo estero. Questo, secondo Chiarvesio, potrebbe anche avere il vantaggio di consolidare la percezione degli autori italiani di essere "categoria professionale" e di diventare maggiormente incisivi. Anche Lang concorda perfettamente su questo, anzi, secondo lui questo è un punto cardinale anche più della vittoria allo Spiel Des Jahres che, come si sa, premiando molto la semplificazione meccanica e di regolamento, rischierebbe di andare a detrimento della ricchezza emozionale e tematica che, ormai è chiaro, è il tratto che lui (e tanti come lui) reputa più valido dei giochi italiani.

Con queste parole i relatori congedano il pubblico. Gli argomenti trattati sono stati molti e d'interesse, così come tanta è la curiosità circa il futuro del "colosso". Chissà che non sarà proprio l'"italian way" la via che CMoN inizierà a percorrere per continuare a mantenere viva e originale la sua offerta in un mercato che sembra sempre più saturo e omologato.

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