L’uccisione di George Floyd avvenuta lo scorso 25 maggio a Minneapolis è stato un evento ignominioso che, dato il momento storico in cui è avvenuto, ha generato un moto di protesta mondiale con una rilevanza e visibilità ben al di sopra di quanto accaduto in precedenti casi simili. L’attuale situazione sociopolitica, in special modo quella statunitense, e l’estremizzazione mediatica conseguente direttamente dall’”uso-abuso” dei social network (per certi versi forzato anche dalla pandemia tuttora in corso), ha inasprito i toni e reso particolarmente “mediatiche”, nel bene o nel male, certe manifestazioni di dissenso.
Le ripercussioni dell’accaduto sui vari tavoli di discussione mondiali sono state quindi diffusissime, fino a spingere tante realtà aziendali, ad esempio Netflix e L’Oreal, a schierarsi esplicitamente, oltre che a prendere provvedimenti più o meno condivisibili. Il panorama ludico, ovviamente, non è scampato a tutto questo e molti attori della filiera hanno deciso di non rimanere in silenzio.
Estremamente rappresentative, pur diverse nei modi, le reazioni di due autori “di peso” chiaramente colpiti in prima persona dalla questione. Eric M. Lang ha deciso sin da subito di prendere una posizione inevitabilmente chiara, esponendosi con una narrazione a titolo personale; Mike Pondsmith invece ha preferito parlare tramite il blog della sua Talsorian Games, ma non per questo il suo messaggio è stato veicolato in maniera meno diretta.
Molti anche gli editori che, a vario titolo, hanno deciso di supportare il movimento Black Lives Matter, condividendone gli intenti tramite messaggi social, come ad esempio Games Workshop o Renegade Game Studio (ma ad esempio anche Cranio Creations in Italia) e tanti altri, oppure offrendo prodotti in bundle speciali in aiuto alle associazioni di tutela legale per le persone di colore. Anche Wizards of the Coast ha scelto di solidarizzare col movimento sospendendo simbolicamente le proprie trasmissioni web per una giornata.
L’estremizzazione dei toni ha però, purtroppo, originato situazioni che non hanno fatto altro che accendere controversie nella community dei giocatori. Molto eclatante infatti, è stata la decisione della Game Manifacturer’s Association di cancellare l’edizione 2021 di Origins Online, a causa delle numerose defezioni di autori ed editori per la scelta dell’associazione di non esplicitare prontamente il supporto al movimento attivista. Il comunicato di cancellazione inoltre ha alimentato ulteriormente le polemiche per come è stato scritto, visto che, nonostante la presa di posizione, non ha riconosciuto la rilevanza di queste defezioni nella decisione.
La stessa sorte è toccata al sito di informazione Everything Board Games, abbandonato per motivazioni similari da una grossa fetta del suo personale. Altrettanto discusse sono state anche le scelte di Wizards of the Coast. L’azienda ha infatti rimosso (e bandito dai tornei) alcune carte di Magic: the Gathering dal sito, in quanto considerate avere raffigurazioni razziste; per di più ha aggiunto dei disclaimer (sulla falsariga di quanto già fatto da Disney) sulle piattaforme che vendono alcuni storici prodotti targati D&D, per sottolineare la distanza di visioni tra il momento in cui queste opere vennero concepite e quello attuale. Inoltre, ha annunciato che procederà a una profonda revisione dell’immaginario creato dal celebre gioco di ruolo, in modo da promuoverne sempre di più la diversità come valore fondante e migliorare alcune terminologie “sensibili” e raffigurazioni un po’ troppo prone alla stereotipazione.
È quindi indubbio che questa ondata di proteste abbia scosso gli animi di molti, esacerbando la polarizzazione delle opinioni e addirittura arrivando a pretendere, neanche tanto implicitamente, che qualunque ente assumesse una precisa posizione in merito. Ma è veramente così necessario?
È complicatissimo poter dare una risposta in merito. Quando a parlare è un “brand”, le motivazioni di marketing e strategie aziendali non possono mai essere escluse con ragionevole certezza, ma neanche si può desumere il razzismo di chi sceglie di non esporsi, magari proprio per non incappare in accuse di virtue signalling. Ora, tralasciando volutamente i processi alle intenzioni, in questo mondo dominato da una comunicazione sempre più quantitativa e sempre meno qualitativa, i messaggi di inclusività lanciati da icone pop (ludiche o meno) possono anche essere un bene, perché facilmente comprensibili da tutti e in grado di rinnovare su larga scala vissuti e immaginari condivisi; tuttavia il razzismo si sconfigge veramente solo con decisi interventi culturali e scolastici, che stimolino il ragionamento e il senso critico.
Immagine tratta da Stonemaiersgames.com
Il settore ludico può dare certamente il suo contributo in questo senso, partendo ad esempio da una seria riflessione sul suo stato attuale (a tal proposito Elizabeth Hargrave propone degli spunti interessanti), per arrivare magari a una maggiore inclusività tra le schiere di addetti ai lavori e di appassionati, ma anche a una trattazione di tematiche di gioco diverse, nuove ambientazioni, oppure anche le stesse osservate da altri punti di vista o trattate con studio, accuratezza e rispetto (come ha fatto ad esempio Peer Sylvester ne La Spedizione Perduta).
Purtroppo, in mancanza di questi seri interventi, le parole per quanto urlate restano vacue e i provvedimenti assunti sulla scia di un forzoso “politically correct”assumono connotati grotteschi o, peggio, pericolosi sentori di propaganda. L’auspicio quindi è che, prima o poi, si possa tornare a percepire le sfumature delle questioni e si riesca a guardare il nostro passato con piena consapevolezza, avendo intimamente superato certi preconcetti ormai stantii, e quindi senza la necessità di scadere nella cancel culture o nella paura di quello che siamo stati, anche come giocatori.
Il mosaico del logo Black Lives Matter con i componenti dei boardgame è stato realizzato e fotografato da Chris Johnson.