È a Play, il Festival del gioco di Modena, che Janus Design ha deciso di presentare e far provare il suo nuovo titolo indie Un Penny Per I Miei Pensieri, edizione italiana del gioco di Paul Tevis edito negli Stati Uniti dalla Evil Hat Games e vincitore del “Most Innovative Game of the Year” negli Indie RPG Awards del 2009.
Di questo titolo abbiamo già parlato, in qualche modo (!), raccontandovi dell’Istituto Orfico, dove si sperimentano nuove forme di terapia per il recupero delle amnesie totali.
Da 3 a 5 giocatori assumono il ruolo di pazienti che si sottopongono a terapie di gruppo durante le quali rievocare tappe fondamentali del loro passato anche grazie al contributo collaborativo degli altri pazienti.
In attesa di provare questa intrigante ambientazione sabato 26 e domenica 27 a Play, vi proponiamo, grazie all’aiuto di Janus Design, l’intervista esclusiva per l'Italia con il suo autore, Paul Tevis.
Ciao Paul, parlaci un po’ di te: chi sei e cosa fai?
Sono un ingegnere informatico sulla trentina, vivo e lavoro a Santa Barbara (California). Oltre a giocare di ruolo e da tavolo amo cucinare, ho tenuto corsi da sommelier, sono un ciclista appassionato, facevo triathlon e sto ricominciando a correre dopo una lunga pausa. Mia moglie e io amiamo viaggiare, cosa che indispettisce i nostri gatti.
Qual è la tua storia da giocatore? Come sei arrivato al game design?
Iniziai a giocare di ruolo con la Scatola Rossa di D&D, anche se all’inizio non giocavo molto. Lessi un sacco di libri legati ai giochi, in particolare Dragonlance, ma è stato solo dopo l’università che iniziai a giocare parecchio. Lavoravo per una ditta di software quando è uscita la terza edizione di D&D, il che mi diede una grande opportunità per rientrare nel mondo del GDR. Iniziai poi ad andare alle fiere, lavorando come dimostratore per la Atlas Games e per la Steve Jackson Games.
Nel 2004 partecipai per la prima volta a GenCon. In quell’anno La Mia Vita col Padrone vinse il Diana Jones Award.
Da qualche mese leggevo The Forge con una certa regolarità, quindi comprai LMVcP e una serie di altri giochi allo stand di the Forge. Fu quella la mia porta d’ingresso nel game design.
Perché hai scritto questo gioco?
Un Penny per i Miei Pensieri fu originariamente scritto per il contest del Game Chef 2007 [1]. Non avevo mai partecipato a un Game Chef; quell’anno le tempistiche e il mio entusiasmo sembravano coincidere. A dirla tutta ero a sciare con la ditta di mia moglie quando annunciarono la lista degli ingredienti, ma da lì dov’ero non avevo accesso a internet, quindi dovetti chiamare il mio amico Josh Roby (autore di Full Light, Full Steam, Sons of Liberty e uno dei principali autori del gioco di ruolo di Smallville) e me li feci leggere da lui. Molte delle idee iniziali mi vennero sui sedili posteriori di un autobus che saliva alle piste da sci.
Perché hai scritto il manuale di gioco come se fosse un oggetto parte del mondo di gioco? Quali sfide ha portato questa scelta? Quali aspetti positivi?
L’origine fu probabilmente un playtest per The Drifter’s Escape di Ben Lehman a cui presi parte.
Il mio amico Roy mi disse che quel che gli piaceva del gioco era che le scelte che doveva prendere come giocatore erano esattamente le stesse che doveva prendere come personaggio. Mi piacque l’idea e volli fare lo stesso in Penny. Una volta presa la scelta di trasformare le procedure in qualcosa che i personaggi nella finzione avrebbero fatto, mi sembrò naturale rendere il libro un oggetto del mondo di gioco.
Mettere in atto questa idea non fu facile. L’idea migliore fu scegliere di parlare con la voce del Dottor Tompkins. Creare un personaggio da usare come voce attiva, invece di scrivere un manuale generico senza un autore definito, rese il mio compito molto più facile. C’erano cose di cui ovviamente Tompkins non poteva parlare, quindi scelsi il compromesso di inserirle nell’ultimo capitolo. Credo che il libro abbia tratto beneficio da quella scelta; è molto più interessante e inquietante di quanto sarebbe stato altrimenti.
Come hai sviluppato l’economia e la valuta interna al gioco?
Uno degli ingredienti del Game Chef era “valuta” (gli altri due che usai erano “memoria” e “farmaco”), quindi sapevo che avrei dovuto usarla in qualche modo. Il titolo fu una delle prime cose a venirmi in mente (giocando sul modo di dire inglese “un penny per i tuoi pensieri”), il che mi diede l’idea di usare i penny.
Concettualmente pensai molto a come la meccanica della Fan Mail di Avventure in Prima Serata renda concreta l’approvazione delle tue azioni da parte degli altri giocatori. Avevo in mente anche una partita recente a The Mountain Witch; avevamo usato delle fiche da Poker per rappresentare la Fiducia e quando un giocatore voleva aumentarla gli chiedevo di consegnare fisicamente la fiche. Mi interessava creare qualcosa in cui le meccaniche si rivolgessero agli interessi degli altri giocatori; i penny mi davano modo di realizzare questa idea.
Per chi hai scritto questo gioco?
Scrissi Penny per me stesso. Il Game Chef era un esperimento; volevo solo provare un po’ di idee. Il feedback fu tanto positivo che decisi di provare a pubblicarlo. Portare il libro fino alla stampa fu un altro esperimento. Imparai molto sul design, sulla scrittura, sull’editoria e su me stesso, che era il mio vero obiettivo.
Com’è stato il processo di sviluppo? Il playtest ha cambiato qualche parte fondamentale del gioco?
Fu un processo lungo, principalmente perché scrivevo lentamente e procrastinavo molto. Le meccaniche di base non cambiarono durante lo sviluppo, rimanendo praticamente le stesse della versione per il Game Chef. Una cosa che emerse dai playtest fu la necessità di avere tutti i giocatori sulla stessa lunghezza d’onda. In alcuni playtest vi furono problemi dati dalle idee contrastanti sul mondo in cui si svolgeva la partita. Da qui deriva il documento di Dati di Fatto e Rassicurazioni: era un modo per stabilire alcune regole di base che garantissero la coerenza. Ovviamente quando il mio curatore (Ryan Macklin) ed io decidemmo di aggiungere quell’elemento ci accorgemmo che potevamo usarlo per creare ambientazioni alternative. Ci permise di trasformare una debolezza in una forza, cosa di cui sono piuttosto contento.
Grazie a Paul Tevis per la sua disponibilità e un “a presto vederci” a Play con i ragazzi di Janus Design e la squadra di collaboratori del Dottor Tompkins dell’Istituto Orfico!
[1] Piccolo concorso di game design ispirato all’Iron Chef, un programma tv giapponese diventato di culto nella sua versione USA dove si sfidano cuochi che devono usare ingredienti a sorpresa per creare il piatto migliore. Allo stesso modo nel Game Chef vengono estratti alcuni concetti e parole il giorno di inizio del concorso. I partecipanti devono creare un gioco in un tempo prestabilito (generalmente molto breve, 1-2 settimane) utilizzando almeno 3 dei 4 ingredienti a sorpresa, in qualunque maniera (simbolica, tematica, anche letterale).