Nebbia di guerra, perdite progressive delle unità, materiali di pregio… tanti motivi per cui i giochi con i blocchetti di legno, altrimenti noti come block games, sono molto meno “leggeri” di quanto possa sembrare. E non ci riferiamo solo al peso delle loro scatole!
Una delle critiche che più di frequente viene rivolta ai wargame intesi come rappresentazione storica suona più o meno: “Così sono bravi tutti. Su questa mappa vedi tutte le unità del nemico, una per una… Napoleone a Waterloo mica sapeva dove si trovava Wellington e con quanti uomini!”.
E vai a spiegare che a Waterloo Napoleone sapeva benissimo dove si trovava Wellington (piantato sulle colline davanti a lui, a bloccargli la strada per Bruxelles) e piuttosto si chiedeva dove fosse finito il maresciallo Grouchy con un terzo della sua armata (a caccia del contingente prussiano… ma nel punto sbagliato della mappa!). Anche perché il nostro critico questa volta almeno un po’ avrebbe ragione.
Il problema della “visione di Dio” (gli americani parlano di “God’s view”) della quale gode il wargamer medio chino sulla sua cartina con tutte le sue belle pedine messe in fila esiste, eccome. Nella realtà, nessun comandante può dirsi assolutamente sicuro di dove si trovi il nemico in un dato momento, con quali forze e con quali capacità offensive. È la cosiddetta “nebbia di guerra”, ossia quell’alone di incertezza che grava su qualsiasi campo di battaglia, compresi i più moderni, nonostante tutti i droni, i satelliti e le intercettazioni elettroniche a disposizione dei Napoleoni di oggi.
La realtà tattica è dunque imprevedibile, non del tutto conoscibile, talvolta irrazionale. Il gioco di simulazione, invece, soprattutto nelle sue forme più classiche tende a ricondurre gli eventi nell’ordine razionale e fruibile del suo modello geometrico-matematico. Tuttavia, gli autori di wargame si accorsero ben presto del problema e cominciarono a studiare svariate meccaniche per rappresentare anche questo elusivo aspetto dei conflitti, anche cercando di scovare giochi di simulazione del passato in cui i loro predecessori avessero affrontato (e, chissà, risolto!) tale difficoltà.
Esisteva forse un gioco in cui i due contendenti manovravano eserciti la cui composizione rimaneva ignota all’avversario? Magari con pedine che si muovevano sul tabellone mostrando facce tutte uguali, voltandosi e rivelandosi solo nel momento effettivo dello scontro?
Il Krieg Spiel originale del 1812 custodito nel Castello di Charlottenburg a Berlino
Certo che esisteva un gioco del genere. Ma se state pensando allo Stratego, peraltro mirabile esempio di unione tra gioco di simulazione, gioco strategico e gioco di società per ragazzi, vi state sbagliando. Perché il gioco che per primo prevedeva la “nebbia di guerra” non era altro che il caro, vecchio, prussianissimo Kriegsspiel. Il quale, partendo dagli insegnamenti del generale von Clausewitz e dall’esperienza del maresciallo von Moltke (accanito wargamer lui stesso, fin da quando era ancora un civile!), prevedeva l’impiego di apposite scatole nelle quali venivano racchiuse le proprie truppe rimuovendole solo nel momento del contatto visivo col nemico.
Lo Stratego di cui sopra non aveva fatto altro che semplificare e “automatizzare” tale meccanica rimuovendo la necessità di un arbitro terzo e permettendo ai giocatori di effettuare l’operazione in autonomia, voltando da soli la pedina quando necessario.
Fu così che, già nel 1972, la Gamma Two pubblicò Quebec 1759, presentandolo come capostipite di un genere che avrebbe preso il nome dal suo componente più riconoscibile: il blocchetto di legno con le caratteristiche della pedina segnate solo su di un lato. Era nato, per l’appunto, il block wargame.
Non sappiamo se in quel frangente il suo autore, Tom Dalgliesh, si sia reso effettivamente conto di aver dato il via a un’intera nuova famiglia di giochi, destinati a un tale successo da permettergli di fondare diversi decenni dopo la Columbia Games, casa produttrice specializzata proprio nei “giochi a blocchetti”. Di certo, però, nel 1974 il nostro Tom mette a punto le meccaniche del primo titolo e realizza Napoleon: The Waterloo Campaign, 1815. Il fatto che il titolo sia giunto ormai alla sua quarta edizione, andata esaurita nel 2013, la dice lunga sul suo successo.
Ma perché i block wargame riscuotono tanto favore nel grande pubblico, considerato che oggi vengono regolarmente pubblicati con nuove uscite da almeno quattro diversi produttori?
Le ragioni sono legate alle meccaniche adottate, che fondamentalmente sono due.
La prima, come abbiamo visto, consiste nel tenere nascosta l’entità delle proprie forze all’avversario, rendendo così fondamentali azioni diversive con unità di piccola entità che “innervosiscono” il nemico e anche dando finalmente importanza alle formazioni di ricognizione, spesso relegate al rango di “unità leggere che si muovono velocemente e che muoiono ancor più velocemente”: in un block wargame anche il più misero squadrone di cavalleria leggera può rivelarsi fondamentale nel capire se le truppe nemiche in arrivo sono il contingente principale o solo un’abile finta.
La seconda è che le unità, essendo “montate” su ampi quadrati di legno che rimangono verticali sulla mappa, possono essere ruotate su lati che riportano diversi valori di attacco e difesa, nonché una miriade di informazioni di gioco, permettendo così di rappresentare in maniera adeguata, progressiva e soprattutto molto pratica, la degradazione dell’efficienza a seguito delle perdite. È grazie a questa meccanica che i cinque blocchi lasciati a difendere un settore cruciale possono rivelarsi molto meno efficienti di un paio di blocchi attaccanti rimasti fino a quel momento al sicuro nelle retrovie e quindi “freschi”.
Queste due grandi realtà tattiche (nebbia di guerra e degradazione progressiva) si combinano dunque in maniera perfetta con un componente di gioco tra l’altro bello, colorato ed elegante quale è il blocco di legno. Tra l’altro, riducono in maniera drastica il bisogno di impiegare segnalini per indicare status complessi delle unità come livelli aggiuntivi di perdite, mancanza di rifornimenti, lontananza dai comandanti… basta girarli sul lato giusto e il gioco è fatto, senza doversi ricordare troppe regole e modificatori. Con la complessità così ridotta è dunque possibile differenziare e arricchire il regolamento prevedendo meccaniche quali l’uso di carte comando o l’adozione di mappe più libere rispetto a quelle esagonate, come quelle point to point o ad area.
Il tutto al solo costo di dedicare almeno una serata ad appiccicare decine e decine di etichette su altrettanti quadratini di legno… che dire: la bellezza comporta sempre qualche sacrificio!
Successi molto diversi tra loro e distribuiti nel tempo come Hammer of the Scots e Julius Caesar (Columbia Games), o anche Triumph & Tragedy e Sekigahara (GMT Games) sono insomma la riprova che la meccanica funziona, risulta apprezzata dai veterani e attraente per i principianti, ma soprattutto capace di offrire grandi opportunità in quanto a design ed esperienza di gioco.
Tuttavia, i nostri bei blocchetti qualche problemino ce l’hanno anche loro.
Come prima cosa, per quanto si tratti di un requisito teoricamente necessario per qualsiasi tipo di gioco, i titoli a blocchetti richiedono una grande correttezza da parte di tutti i giocatori. Poiché per la maggior parte del tempo le caratteristiche di un determinato pezzo sono note solo a chi lo controlla, non solo sarebbe molto semplice “fare i furbi” e magari muovere di un paio di esagoni di troppo ma è anche responsabilità di ciascuno ricordarsi tutte le regole ed evitare errori, pur se commessi in buona fede.
Da tale peculiarità deriva poi anche una generale difficoltà rispetto ad altri wargame nel “convertire” questi giochi all’uso in solitario. Laddove per un hex and counter classico la mancanza di informazioni nascoste rende piuttosto agevole giocare gli scenari al meglio delle proprie possibilità, il block game vive del fatto che almeno una metà delle sue informazioni (ossia la disposizione delle forze avversarie) rimane ignota. La soluzione più ovvia è usare i blocchetti come fossero pedine normali, piazzandoli cioè semplicemente distesi sulla mappa, ma così facendo si deve rinunciare proprio a quella rappresentazione della “nebbia di guerra” che li rende così interessanti.
Infine, la semplificazione delle meccaniche resa possibile dall’uso di questi componenti si è rivelata negli anni sia la maggior virtù che il peggior difetto dei block games. Sempre più spesso abbiamo visto pubblicare regolamenti piuttosto simili tra loro, con qualche cambiamento qua e là ma sempre con le stesse meccaniche di base: muovi i blocchetti, rivelane il contenuto, ruotali quando subiscono perdite… e ripeti il tutto per X turni fino alla fine del gioco. Una routine che ha anche un po’ rovinato la reputazione di questi giochi, relegandoli nel “limbo” dei wargame introduttivi, simpatici ma tutto sommato poco interessanti e buoni solo come prima esperienza di guerra simulata.
Nella seconda parte della nostra esplorazione di questo genere, vedremo proprio come le grandi case produttrici che si sono specializzate o che comunque si sono lanciate nella realizzazione di questo tipo di titoli abbiano affrontato tali problemi, valorizzando al massimo tutte le potenzialità di una meccanica di gioco al tempo stesso tradizionale e innovativa.