martedì 5 Novembre 2024

Tensioni intense

Avete presente quando prevedete la mossa di tutti i giocatori che vi precedono, riuscite a ottimizzare il vostro turno, e il sistema di gioco vi “premia” permettendovi di fare esattamente quello che volevate (di solito un sacco di punti)? Ecco: siete appena stati ricompensati da una delle “fonti di tensione” (sources of tension) del gioco che state giocando. Le vostre scelte hanno prodotto un risultato passando attraverso qualcosa di incerto (un rischio, un processo deduttivo, la gestione di una risorsa limitata, una scelta di tempo) che alla fine ha prodotto il risultato sperato (o preventivato) a dispetto di fattori avversi.

Le fonti di tensione, termine da intendersi come “tensione positiva”, sono state semi-catalogate da Jeff Warrender (uno degli utenti del Board Games Designers Forum), e non sono nient’altro che i processi per cui le scelte che si fanno in gioco sono interessanti. Il brivido del rischio, il veder funzionare una combo, l’individuazione di un colpevole sono solo alcune delle possibili “conseguenze” delle scelte che, creando e sciogliendo una situazione tensiva a breve o lungo termine risultano piacevoli, appaganti e divertenti.

Facciamo un esempio pratico, semplice e diretto, con Coloretto.
Nel vostro turno, il gioco vi offre una scelta: potete pescare una carta per aggiungerla a una delle file, oppure prendere una delle file sul tavolo. La scelta è semplice: vi accontentate di quel che c’è, o rischiate di dare punti e vantaggi ai vostri avversari? Siete disposti ad aumentare il valore del “piatto”, sapendo che rischiate di darvi la zappa sui piedi? La tensione che provate al momento di scegliere è la cosa che rende in gioco interessante: il sistema di Coloretto si basa in larga parte sul concetto di press your luck, un meccanismo che di base chiede al giocatore se vuole continuare a fare una data azione rischiando, oppure se preferisce fermarsi.

Il tipo di “source of tension” è ovviamente determinato dal tipo di scelte, che possono essere di vari tipi. Il più comune nel design moderno è la scelta di un limitato numero di azioni, spesso una sola, fra un pool più ampio, come in Agricola; ma anche la gestione del rischio (“poco, adesso e sicuro” o “molto, più avanti e forse”?) e il timing delle azioni sono utilizzate molto di frequente.
Spesso un gioco offre diversi tipi di “soddisfazione”.

L’esempio che faccio sempre è Puerto Rico, uno dei miei giochi preferiti. Puerto Rico ci pone di fronte ogni turno a una scelta molto importante (la scelta del ruolo), che ci costringe a pensare a come ottimizzare non solo la nostra mossa, ma anche quella degli altri, invitandoci a cercare di prevedere le mosse altrui, e magari le relative mosse derivate (per esempio, scegliere le merci da buttare a mare in previsione del Mercante a seconda di cosa hanno fatto o potrebbero fare gli avversari, o costruire i palazzi tenendo conto dello stile di gioco di chi ci precede). Questo genera una serie di momenti di “tensione” a breve termine (mentre si aspetta di vedere se le nostre mosse ottengono il risultato previsto), ma anche un crescendo in vista della fine, quando avremo o meno la conferma del buon funzionamento della nostra strategia a lungo termine.
Una delle scelte di design estremamente azzeccate in Puerto Rico, quindi, è che il giocatore ottiene una “ricompensa” (in termini di divertimento) sia ottimizzando la scelta delle azioni e la loro risoluzione, sia prevedendo le mosse degli altri giocatori; inoltre, c’è una strategia a lungo termine che, grazie anche ai punti segreti, lascia spessissimo il brivido del dubbio sulla vittoria fino alla fine.

Ogni autore dovrebbe quindi cercare di inserire nei suoi giochi scelte “importanti” da far fare ai giocatori, stando bene attento a non cadere nella trappola delle “troppe scelte”: le scelte per l’appunto sono interessanti quando fanno la differenza, e inserire momenti in cui si chiede al giocatore di scegliere qualcosa senza che questo sia realmente utile in realtà rende l’esperienza di gioco peggiore anziché migliore. L’ideale è “non troppe, ma di ottima qualità”, ovviamente in relazione al target. Per capire se una scelta è o meno funzionale allo scorrere del gioco, una buona idea può essere provare ad accostarla a una delle tre “non-scelte” per eccellenza, (di cui si è iniziato a discutere seriamente, nei forum specializzati, soltanto di recente, come conseguenza indiretta di un video-intervento di Matt Leacock, l’autore di Pandemic). Ci sono infatti tre tipi di “false scelte”, che ovviamente gli autori evitano come la peste, perché in nessun caso generano una tensione positiva: le prime sono le scelte inutili, cioè senza ricaduta sul gameplay, le seconde sono le scelte ovvie, cioè in cui la “scelta migliore” è chiara, lampante e tende a ripetersi nel tempo, e infine le subdole scelte alla cieca, in cui si decide senza avere in realtà gli elementi per prendere una direzione anziché un’altra. Per fortuna, a meno che non si insinuino sottilmente nel gameplay a lungo termine, nella loro forma “pura” sono talmente evidenti in fase di playtest che credo siano davvero difficili da trovare realmente in qualche gioco sul mercato che non sia uno strampalato e improvvisato progetto kickstarter o un’autoproduzione più che amatoriale.

Le scelte inutili di solito emergono in fretta e vengono eliminate senza pietà dagli autori; le scelte ovvie di solito vengono automatizzate, soprattutto se sono “singole” e non concatenate. Per esempio, se all’inizio del turno si ha sempre la possibilità di prendere una moneta, e conviene sempre prendere una moneta, si trasformerà la regola scelta che dice “all’inizio del tuo turno, se vuoi, prendi una moneta” nella regola automatica “all’inizio del tuo turno, prendi una moneta”; questo ovviamente è un esempio limite e lampante, ma ci sono anche casi meno ovvi.
Se invece le scelte ovvie sono conseguenza di una serie di elementi più ampi (per esempio edifici che combinano i propri effetti o sequenze di carte o tessere) si cercherà di eliminare il problema con micro-sbilanciamenti interni (il cui effetto in realtà è quello di rendere il gioco “bilanciato ma non scontato”), facendo in modo che se esistono tre “combinazioni” (A, B e C) A sia in qualche modo più forte di B, B prevalga su C, e C abbia la meglio su A.
Questo non necessariamente utilizzando lo stesso elemento, lasciando che a “limare” l’apparente ovvietà di una scelta ci pensino le varie forme di interazione (ossia come e quanto le azioni di un giocatore influenzano quelle degli altri), il meta-game, e il bilanciamento “globale” del gioco (il che, ovviamente, rende la scelta nuovamente sensata e non più “ovvia”).

Facciamo un esempio, che vale più di mille termini tecnici.
Prendiamo 7 Wonders: posto che ognuno peschi le carte che garantiscono le giuste risorse per costruire gli edifici su cui basa la propria partita, a una prima occhiata il numero di punti vittoria garantito dagli edifici scientifici fa sembrare la strategia basata unicamente su carte verdi una scelta piuttosto ovvia: tali carte fanno punti sia come sequenze di simboli uguali sia come triplette di simboli diversi, generando in potenza un numero molto alto di punti a un costo non eccessivo. Ma chiunque si sia mai trovato stretto fra due giocatori con un numero anche basso di edifici militari senza averne neanche uno sa che le cose, in realtà, non sono così semplici.
In pratica il gioco è stato bilanciato su più livelli, rendendo le scelte non scontate, sia a livello di gestione del rischio all’interno del draft (le carte blu danno potenzialmente meno punti delle verdi, ma sono più sicure e dipendono meno da quello che gli altri ci passeranno), sia includendo una buona dose di interazione diretta ma circoscritta (con le carte rosse, che hanno effetto sui giocatori adiacenti), e facendo in modo, in sostanza, che le carte che fanno punti siano tutte utili e che sia praticamente impossibile avere una strategia “imbattibile sempre”.
Come si può vedere, alcune carte sono “sbilanciate” nel generare punti “in combo”, altre a livello di sicurezza della rendita, altre ancora a livello d’interazione; il risultato finale, però, risulta decisamente bilanciato, il che rende le scelte (e le partite) solitamente interessanti.
Per capire il successo di 7 Wonders basta aggiungere a questa formula un regolamento semplice, che si basa su un principio non eccessivamente innovativo, ma neanche inflazionato (al sistema “draft + combinazioni” Fairy Tale c’era già arrivato anni fa, ma di giochi che usassero il draft come meccanismo principale ce n’erano davvero pochissimi) creando un mix funzionale, decisamente appagante e divertente per una fascia di pubblico molto ampia.

Insomma, uno di quei giochi che, se siete autori, vi fa provare una puntina d’invidia…

Marco “Iz” Valtriani è un pubblicitario e un game designer.
Nel 2011 esce il suo primo gioco, “011”, a marchio Scribabs. Nel 2013 Red Glove pubblica “Super Fantasy: Assalto dei Brutti Musi”.
Nel 2014 inizia a collaborare stabilmente con Red Glove come lead designer, firmando diversi titoli, e scrive alcuni interventi sul libro “Game Design – gioco e giocare fra teoria e progetto” di Maresa Bertolo e Ilaria Mariani, fra cui il capitolo sul boardgame design.
Dal 2008 collabora con molte fiere italiane coordinando attività relative agli autori di giochi; dal 2013 è il curatore di BGDItalia.it, la “filiale” italiana del Board Game Designers Forum.

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