martedì 5 Novembre 2024

L’Eleganza, in sostanza.

Uno dei termini che preferivo, le primissime volte che mi cimentavo nel commentare i miei giochi preferiti su forum e siti ludici, era “elegante”.

Una bella parola, sicuramente, con una chiara connotazione positiva e un suono decisamente… elegante.

Eppure in realtà, quando il termine è riferito a un gioco, spesso si fa fatica a dare una definizione, e se chiedete a due giocatori cosa intendano per gioco “elegante”, è molto facile che vi diano due risposte diverse.

C’è chi vi dirà che a essere elegante non è il gioco ma sempre e solo la singola meccanica, chi parlerà di regole semplici e profondità delle strategie, chi addirittura si appellerà alla bellezza dei componenti.

Parlando di un gioco nel suo insieme, ognuno ha la sua personale definizione di eleganza e di fatto non ne esiste una “universalmente condivisa” nel mondo dei giochi da tavolo: se ne è discusso a lungo nel The Journal of Elegant Game Design di Kory Heath, su svariati blog, ma anche su BoardGameGeek e sul Board Game Designers Forum, soprattutto grazie agli spunti di Lewis Pulsipher, con discussioni che hanno coinvolto fra gli altri anche autori famosi e prolifici (sia nel campo del gioco da tavolo che in campo GDR) come Jason Little e Kevin Maroney.

Pulsipher parte dalla definizione di “elegante” data dal vocabolario, da wikipedia e da altre fonti generiche, chiedendosi poi se nei giochi sia da considerarsi elegante “una soluzione a un problema di design che viene percepita come ingegnosa, intelligentemente semplice, curata, ed efficace”.
Il thread dell’autore di Britannia ha lanciato molti spunti interessanti, ma è arrivato a poche conclusioni (nonché a un paio di flames).
A dare una definizione un po’ più funzionale ci ha provato Kevin Maroney, coniando quella che secondo me (e secondo molti altri autori) è la definizione di eleganza più “elegante”, quantomeno se applicata al game design dei giochi da tavolo: “quanto più universalmente si applica la regola generale del gioco, tanto più le regole sono eleganti”.
In sostanza, l’autore di Tales of the Arabian Nights sostiene che quanto più si riesce a non deviare dalla meccanica principale, tanto più il gioco scorrerà naturalmente e in maniera armoniosa. L’opposto è dato dall’aggettivo fiddly, “complicato”: se da un lato complicare un gioco spesso è necessario per aggiungere varietà, o semplicemente perché si vuole simulare qualcosa con un ampio grado di dettaglio, bisogna anche stare attenti a non esagerare per non sovraccaricare di informazioni il giocatore.
Come esempi di eleganza si pensi per esempio ad alcuni capolavori di Knizia come Samurai e Ra, o ancora più semplicemente ad alcuni astratti come Quarto!, ma anche al Go, un gioco con una grande profondità, in cui l’unica “deviazione” dalla regola principale è il Ko (una regola che impedisce il ripetersi di una situazione precedente). Tanto per fare un esempio opposto, gli Scacchi sono un astratto con una grande varietà ma decisamente poco eleganti: solo il pedone ha bisogno di un set di regole tutto suo per muovere, muovere in apertura, catturare, catturare en passant ed essere promosso.

E qui, visto che si parla di “meccanica principale”, si rende necessaria una breve digressione su cosa sia una meccanica. Personalmente mi baso sulle definizioni di Aki Järvinen e Raph Koster, che sono relative al game design in generale, e non solo a quello dei giochi da tavolo. Per meccanica intendo, in parole povere, un “set di regole” atte a far interagire il giocatore con gli elementi di gioco ottenendo una risposta dal gioco stesso (il cui fine dovrebbe essere quello di “spingere” verso un’esperienza di gioco appagante).
Insomma, le meccaniche permettono al giocatore di “esplorare” il gioco: se fate un’azione, il gioco vi darà una risposta tramite le meccaniche; l’insieme delle vostre scelte e delle relative “risposte” costituisce l’esperienza di gioco.
In un gioco, si possono dividere le meccaniche in principali (o core mechanics) e in secondarie, anche se normalmente nel mondo dei boardgame si tende a chiamare col loro nome soltanto le prime.
Facciamo un esempio. In Puerto Rico (di cui ho già avuto modo di parlare in un mio precedente articolo) la meccanica principale è “scegli un personaggio e applicane gli effetti”. La meccanica regge un impianto di sotto-meccaniche (i ruoli) che a loro volta sono sistemi di regole (il mercato, le navi, i coloni), che interagiscono fra loro e che danno varietà e profondità al gioco. Se quindi non ci sono eccezioni alla regola generale, che risulta molto elegante, ce n’è invece qualcuna in più se si scende al secondo livello: se scelgo il mercante e vendo un indaco, ottengo una moneta. Oppure due, o tre, se ho uno dei Mercati, o anche quattro se li ho entrambi. Posso vendere solo se nessun altro ha già venduto indaco, a meno di non avere l’Ufficio. Queste eccezioni danno varietà al gioco e alle strategie attuabilI: sicuramente tolgono linearità, ma rendono l’esperienza di gioco sfaccettata e appagante; il colpo di genio di Seyfarth è stato proprio quello di utilizzare un “motore” elegantissimo lasciando ai “macchinari secondari” l’onere di essere un po’ più complicati.

Inoltre, anche se l’eleganza include inevitabilmente alcuni tratti come la funzionalità e la fluidità del gameplay, un gioco elegante non è necessariamente divertente, e soprattutto non è detto che sia profondo, o vario. L’eleganza, infatti, sebbene non neghi affatto la profondità, tende a opporsi decisamente alla varietà, alla complessità e ai tratti tipici di molti giochi simulativi, ricchi di dettagli e di sfaccettature, che non per questo sono meno appaganti di giochi più “puliti”.
Prendiamo per esempio Durch die Wüste di Reiner Knizia: si tratta di un gioco sicuramente elegante, a tratti anche profondo, ma basato su una singola meccanica priva di variazioni; il gioco è praticamente un astratto, e questo può non piacere a chi cerca imprevedibilità e leggerezza nel gameplay, o anche solo un minimo di ambientazione.
Dall’altro lato citerei Warrior Knights, in cui alla meccanica principale per lo svolgimento delle azioni, che è abbastanza lineare, è affiancato un impianto di gioco decisamente complesso, ricco di variabili, che probabilmente tolgono eleganza in senso stretto ma danno rigiocabilità, dettaglio e un’ampia varietà di situazioni possibili.

Non è detto che ci si debba per forza limitare a una sola meccanica principale: si può anche costruire un gioco intorno a due o più meccaniche di pari importanza. Questo tipo di approccio, chiamato da molti “design orizzontale” per il fatto di avere più sistemi di regole allo stesso livello, è per esempio quello di Power Grid, in cui le aste, il network building e il mercato sono tre pezzi di pari valore a livello di gameplay.
Ovviamente il modo in cui si affronterà la fase di design e sviluppo dipende da cosa si vuole che il gioco faccia e chi abbiamo in mente come pubblico di riferimento: quale che sia il grado di eleganza che l’autore raggiunge con le meccaniche principali, deve fare poi i conti con lo sviluppo di un gameplay più o meno ricco o complesso a seconda del target che vuole dare al gioco.

E ricordate che, come diceva Antoine de Saint-Exupéry, “La perfezione nel design si ottiene non quando non c’è nient’altro da aggiungere, bensì quando non c’è più niente da togliere”.

Marco “Iz” Valtriani è un pubblicitario e un game designer.
Nel 2011 esce il suo primo gioco, “011”, a marchio Scribabs. Nel 2013 Red Glove pubblica “Super Fantasy: Assalto dei Brutti Musi”.
Nel 2014 inizia a collaborare stabilmente con Red Glove come lead designer, firmando diversi titoli, e scrive alcuni interventi sul libro “Game Design – gioco e giocare fra teoria e progetto” di Maresa Bertolo e Ilaria Mariani, fra cui il capitolo sul boardgame design.
Dal 2008 collabora con molte fiere italiane coordinando attività relative agli autori di giochi; dal 2013 è il curatore di BGDItalia.it, la “filiale” italiana del Board Game Designers Forum.

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