giovedì 26 Dicembre 2024

Storia dei giochi – parte seconda

Di seguito la seconda parte dell’articolo sulla storia dei giochi pubblicato sul blog Imago Romae.
La prima parte era stata postata qui.
Buona lettura.

Giochi popolari e cortesi nel medio evo

Si Þ accennato sopra [nella prima parte, ndMikimush] ad alcuni problemi e ruoli del gioco medievale, che oltre a costituire una naturale e amata distrazione alla vita regolare e cadenzata dellÆuomo in ambito cittadino, campagnolo e cortese, dava luogo pure a una minaccia compresa alla tranquillitÓ dellÆordine cosmico e alla religione.

Se nella cittÓ tale istituzione sociale veniva organizzata e regolata nella baratteria, con notevole vantaggio dello stato, essa veniva viceversa proibita e relegata a poche occasioni lecite, spesso in connessione a festivitÓ religiose nel mondo rurale.

Solo nella corte essa veniva in qualche modo liberata da tali condizionamenti e praticata con maggiore libertÓ.

La differenza Þ che il Signore e la corte, o il patriziato, hanno molto pi¨ tempo da dedicare a questa attivitÓ, il tempo che lÆuomo comune dedica al lavoro.

Al di fuori della politica e della guerra, attivitÓ comunque ristrette al Principe e a una cerchia di fedeli esecutori, consiglieri, magistrati, segretari  e condottieri, la vita di corte sembra risolversi tra cacce, tavole imbandite, giochi ed il piacere.

Oltra di ci?, sý come traÆ boschi spesse volte addiviene, muovendosi dÆuna parte volpi, dÆaltra cavriuoli saltando e quelli in lqua et in lÓ con nostri cani seguendo, ne trastullammo, insino che agli usati alberghi da compagni, che a la lieta cena nÆaspettavano, fummo ricevuti; ove dopo molto giocare, essendo da gran pezza la notte passata, quasi stanchi di piacere, concedemmo alle esercitate membra riposo.[1]


Ma poi che con la abondevole diversitÓ deÆ cibi avemmo sedata la fame, chi si diede a cantare, chi a narrare favole, alcuni a giocare, molti, sopravinti dal sonno, si addormirono.[2]

Un esempio emblematico di questo aspetto della vita dei principi, viene descritto da Decembrio nella sua Vita di Filippo Maria Visconti:

Fin da quando era bambino us? giocare ora a palla, ora a pallone, ma soprattutto a carteà.gli piaceva giocare anche agli astragali, genere di gioco che, per il suo richiamo omerico, ha trovato estimatori anche recenti[3]. Nei giorni festivi talvolta giocava a dadi mentre, pi¨ che giocare preferiva assistere alle partite con quelli che la gente chiama scacchi.[4] Pochi Signori sembrano tener conto di consigli quali quelli che il Sacchetti ai suoi tempi dava ai rettori che vanno in signoria:  E nel principio abbi la tua famiglia; / dellÆonor tuo glÆinforma e consiglia: /che gioco non si tegna nella corte.[5] Tra le persone che frequentano la corte, i cortigiani e le cortigiane di basso rango, segretari, famigli, dame di compagnia e prostitute, strumenti di necessitÓ o di piacere dei loro Signori, sono apprezzati finchÚ si fanno apprezzare. LÆimperativo Þ per loro di apparire brillanti e simpatici, piacevoli ed arguti. Tu dispari, se non appari[6], sentenzia il poeta. Il gioco Þ utilissimo per questo.


Se non Þ facile dosare la propria presenza nei divertimenti dei potenti, dove occorre apparire modesti ma arguti, come consiglia il Castiglione nel suo libro del Cortegiano, si pu? sperare in un colpo di fortuna che schiuda le porte ad una amicizia importante e ad una conseguente carriera brillante nel seguito di un ambasciatore, di un sovrano o di un cardinale.

Nella corte i problemi etici connessi al gioco sono meno sentiti. Il Castiglione ce ne tratteggia bene la sostanza in un suo brano esemplare:

ôDimandiamone consiglio a frate Serafino, che ogni dý ne trova de noviö. ôSenza motteggiareö, replic? il Signor Gasparo, ôparvi che sia vicio nel cortegiano il giocare alle carte e ai dadiö?ôA me no,ö disse messer Federico, ôeccetto a cui nol facesse troppo assiduamente e per quello lasciasse lÆaltre cose di maggior importanzia, o veramente non per altro che per vincer denari, ed ingannasse il compagno e perdendo mostrasse dolore e dispiacere tanto grande, che fosse argomento dÆavariziaö.[7]


Il Cortegiano, insomma detta due regole dÆoro per rendere utile la pratica del gioco nellÆambiente di corte: non trascurare i propri doveri e non mostrare aviditÓ.

Si aggiunge poi un terzo punto che esplicita in un altro passo della stessa opera, evitare il linguaggio volgare e specialmente la bestemmia: la beffa-punizione molto severa di un bestemmiatore, non a caso estraneo allÆambiente patrizio û un sempliciotto pistoiese û cui due compagni fanno credere di essere diventato cieco a causa delle bestemmie proferite a seguito della perdita al gioco contro la Vergine.[8]

Di questi giocatori violenti e sediziosi, la corte volentieri si ride, per esorcizzarne il turbamento.

Ci si pu? chiedere ora se i giochi delle corti fossero gli stessi che si praticavano nelle strade e nelle taverne.

Possiamo confrontare tre documenti interessanti su questo tema.

Taddeo e Farfanicchio, due personaggi di una Cena del Lasca, ci danno un curioso elenco di giochi popolari praticati alla metÓ del XVI secolo a Firenze, cittÓ che appare da molte testimonianze storiche un poÆ la capitale del gioco popolare, cosý come Milano e Ferrara sono le capitali del gioco patrizio.

Si pu? notare che a detta degli stessi personaggi molti giochi passavano presto di moda e venivano rimpianti dai vecchi giocatori, desolati allo spettacolo dei nuovi e pi¨ stupidi giochi praticati dai giovani: un luogo comune di ogni generazione.

Taddeo: àIl Teri giocava agli aliossi a suo tempo meglio che giovane di Firenze, come faceva io aÆ ferri, che non si diceva altro che Taddeo; ed aveva una detta che squillava gli aguti cinquecento braccia discosto.Farfanicchio: Ah, ah, ah, ah.Taddeo: tu ridi? Farfanicchio: O chi non riderebbe ai giocacci che voi contate?Taddeo: Giocacci gli aliossi e i ferri?Farfanicchio: Dalle carte e i dadi in fuoriàTaddeo: Che carte e che dadi? Il giuoco dei ferri[9] ha tanti capi che tu ti meraviglieresti, e tra gli altri il buco a capo alla punta, e in terra peggio, e poppa lo stecco, passano battaglia. Ma favellare con chi non intende Þ uno gettare via le parole, perchÚ questo bel giuoco, con molti altri Þ ora spento affatto.Farfanicchio: Che? Voi ne avete degli altri begli simili a questo?Taddeo: O caro! Che mi diÆ tu? E a tempo mio erano i giuochi ordinati secondo le stagioni e i mesi: chiose, spilletti, trottola, paleo[10], soffio, giglio o santo[11], mattonella, meglio al muro, verga, misurino, aliossi, rulli, ferri e cento altri, che erano tutti giuochi da perdere e da vincere; ma quelli che si facevano per passatempo e per piacere erano bellissimi, che sono oggi quasi tutti quanti perduti[12]. Grazzini divide i giochi in due categorie: quelli per vincere o perdere, e quindi in qualche modo dÆazzardo, anche se con poste minime û e quelli per piacere, che erano anche pi¨ belli.


Dei quindici giochi da lui nominati, ne conosciamo bene quattro: dadi, carte, aliossi[13] e trottola. Degli undici restanti, almeno cinque portano un nome che porta un assonanza con termini ancora usati, ma in altri contesti; ad esempio, chiose.

Il brano interessa particolarmente perchÚ, descrivendo giochi da strada e da ragazzi, dimostra come anche le carte, i dadi e gli aliossi, possono essere inseriti e considerati in un contesto diverso da quello in cui ci siamo abituati a considerarli, cioÞ gioco di corte o di taverna, ma sempre gioco da grandi.

? notevole lÆimportanza data agli aliossi che sappiamo essere un antenato dei dadi, la cui economicitÓ (erano fatti di osso di agnello non lavorato, di noccioli di frutta o di legno) gli ha garantito una sopravvivenza millenaria.

Un caso singolare in un panorama ludico molto variabile.

Un altro elenco di giochi molto sugoso e triviale ce lo dÓ addirittura il genio dai molteplici interessi di Giordano Bruno. Barra, personaggio de Il Candelaio, ci rivela una usanza furbesca ma rischiosa di alcuni viaggiatori poco equipaggiati dellÆepoca: giocare con lÆoste per rivincergli il costo della cena.

Barra: à.- Ma io che non so tanto di rettorica, solo soletto, senza compagnia, lÆaltrÆieri, venendo da Nola per Pumigliano, , dapoi chÆebbi mangiato, non avendo tropo buona fantasia di pagare, dissi al tavernaio: ôMesser osto, vorrei giocareö. ôA qual giocoö disse lui övolemo giocare? Cqua ho de tarocchiö. Risposi: ôA questo maldetto gioco non posso vencere, perchÚ ho una pessima memoriaö. Disse lui: öHo di carte ordinarieö. Risposi: ôSaranno forse segnate, che voi le riconoscerete. Avetele che non siino ancora state adoperate?ö Lui rispose de non. ôDunque pensiamo ad altro giocoö. ôHo le tavole saiö? ôDi queste non so nullaö. ôHo de scacchi, saiö? ôQuesto gioco mi farebbe rinegar Cristoö. Allora gli venne il senapo in testa: ôA qual, dunque, diavolo di gioco vorrai giocar tu proponiö. Dico io: ôA stracquare e pallÆe maglioö. Disse egli: ôCome, a pallÆe maglio? Vedi tu cqua tali ordegni? Vedi luoco da posservi giocareö? dissi: ôA la mirellaö? ôQuesto Þ gioco da facchini, bifolchi e guardaporciö. ôA cinque dadiö? ôChe diavolo di cinque dadi? Mai udivi di tal gioco. Si vuoi giochiamo a tre dadiö. Io gli dissi che a tre dadi non posso aver sorte. ôAl nome di cinquantamila diavoliö, disse lui ösi vuoi giocare, proponi un gioco che possiamo farlo e voi ed ioö: Gli dissi: ôGiochiamo a spaccastrommolaö. ôVaÆö disse lui ôchÚ tu mi dai la baia: questo Þ gioco da putti, non ti vergogniö? ôOr su, dunqueö, dissi, ôgiochiamo a correreö: ôOr questa Þ falsaö: disse lui. Ed io soggionsi: öAl sangue dellÆIntemerata che giocaraiö![14]


Bruno elenca dieci giochi. Tarocchi, carte ordinarie, tavole, scacchi, e dadi (distinti tra gioco a cinque dadi, che lÆoste non conosce e che dovevano essere una novitÓ, e gioco a tre dadi û qui non chiamato zara û che sappiamo comune sin dal XIII secolo), sono i primi da lui indicati, e coincidono con quelli indicati dal Poliziano e dallÆAretino; segno di una uguaglianza tra giochi praticati dallÆaristocrazia e dal popolo û che non necessariamente Þ solo borghesia dei centri urbani, ma anche gente di paese o viaggiatori.

Stracquare, pallÆe maglio, mirella e spaccastrommola, sono poi nomi gergali che indicano verosimilmente giochi di movimento e non da tavolo, probabilmente di uso locale, come quelli nominati dal Lasca.

Sostanzialmente,  sembra dunque che per quanto riguarda i giochi di carte, dadi, scacchi e tavoliere e affini, li si ritrova praticati con una sostanziale uniformitÓ nei vari ambienti sociali, popolari, cortesi ed ecclesiastici ed in un arco di tempo di secoli. Esiste Þ vero una grande varietÓ di possibili varianti dei diversi giochi, ma tali varianti non sembrano tipiche di un particolare ambito sociale. Persino la zara, che sembra il gioco pi¨ tipico di una baratteria plebea, coinvolge anche nobili e preti.

A differenza dei giochi di movimento, tipici dei giovani popolani che si svolgono in strada ed in piazza, che invece sembrano variare di molto, a seconda del tempo e dei luoghi, dai corrispondenti svaghi della giovent¨ aristocratica, che pratica tornei, palli e cacce pi¨ legate ad un preciso cerimoniale legato a cerimoniali di natura gerarchica.

Si ha inoltre lÆimpressione, confortata da molte fonti, che il gioco costituisca una parte importante della vita anche quotidiana dellÆuomo comune. Che la gente vi si dedichi con entusiasmo e spensieratezza non meno che nel mondo cortese.

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[1] Iacopo Sannazzaro (1455-1530) . Arcadia. Prosa 5, 2.

[2] Iacopo Sannazzaro. Arcadia. Prosa 6,2.

[3] Si noti come Decembrio sembra qui voler giustificare la pratica del gioco degli astragali da parte del suo principe, usanza non tanto eticamente dubbia, ma piuttosto bizzarra in quanto plebea e per di pi¨ infantile, con il ôrichiamo omericoö che la nobilita e la giustifica. Cfr. supra, pag 25 e nota n.5 di questo capitolo.

[4] Pier Candido Decembrio. Vita di Filippo Maria Visconti ( a cura di Elio Bartolini). Adelphi . Milano 1983. Cap. LXI, pag. 113.

[5] Franco Sacchetti. Rime. 307 Franco per li rettori che vanno in signoria,  11-13.

[
6] Angelo Poliziano. Detti piacevoli. Detto 410.

[7] Baldassarre Casteglione. Il Libro del Cortegiano. Secondo libro, XXXI.

[8] Baldassarre Casteglione. Il Libro del Cortegiano. Secondo libro, LXXXVI.

[9] Forse si tratta del lancio di ferri di cavallo. Mi piace segnalare che mio nonno Vincenzo mi raccontava che questo gioco si praticava con complicati rituali, ancora verso il 1910 a Segni, nel Lazio.

[10] Una variante della trottola, fatta di legno e grossa come il pugno di un adulto, senza punta metallica: risale almeno allÆetÓ della Grecia classica. Vedi: Dossena. Enciclopedia, cit., pag.857 alla voce Paleo. UnÆantica filastrocca dice: e la trottola non Þ il paleo / e il cristiano non Þ il giudeo, a significare che i due giochi, benchÚ simili, possono apparire la stessa cosa solo agli occhi del profano, che non li pratica pi¨.

[11] Testa o croce.

[12] Anton Franceso Grazzini, detto il Lasca (1503-1584). La Strega. Atto 2, scena 1, 25-33.

[13] Sinonimo di astragalo, dal latino, aleae ossum, ovvero osso di scommessa.

[14] Giordano Bruno (1548-1600) . Il Candelaio. Atto 3, scena 8, 20.

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