martedì 5 Novembre 2024

[Lucca Games 2007] Iain McCaig – La linea d’ombra dell’immaginazione

Come promesso alla conferenza inaugurale, torna Iain McCaig, con un vertiginoso seminario sul disegno e sulle tecniche di realizzazione degli storyboard. Infatti, oltre ad essere un eccellente concept artist, ha lavorato anche come storyboard artist per moltissime produzioni, da Peter Pan ad Episodio I.


Nel suo energico stile, dopo essersi premurato che tutti avessero carta e matita, Iain ha trasformato la sala incontri nell’aula di un corso di studi d’arte, spiegando le basi della redazione di un buon stryboard. Il tutto ovviamente con la solita filosofia che chiuque può fare disegnare, bisogna solamente apprendere il linguaggio, come per una lingua straniera. E il bello per fare uno storyboard è che non bisogna nemmeno saper disegnare, parola di Iain McCaig!


Dopo una breve lezione di disegno utilizzando le classiche figure a bastoncino – evidenziando come basti aggiungere due linee per ottenere un modello coerente e in grado di muoversi – Iain ha iniziato a illustrare le sette regole che portano alla realizzazione di un buon storyboard.


1. Aspect Ratio



Le proporzioni: nello specifico quelle dello schermo, che diventeranno poi il limite entro il quale dovremo comporre la scena. Queste possono essere televisiva (per un telefilm), widescreen (per un qualsiasi film cinematografico) e cinemascope (Star Wars!)


2. Framing



Ovvero le inquadrature: ne abbiamo di tre tipi. Tutto si misura in “corpi umani”. Abbiamo quindi un Long Shot (campo lungo) in cui si vede la figura intera, Mid Shot (campo medio, o piano americano) e Close Up (primo piano, ovvero dall’attaccatura delle ascelle in su). La sequenza di questi piani in uno storyboard contribuisce alla comunicazione di una storia, e una sequenza diventa una frase. Ad esempio andando da campo lungo al piano americano al primo piano vediamo come si descriva prima l’ambientazione, poi i personaggi e poi si passa ad un personaggio specifico.
Ma non è l’unico modo di procedere. Ad esempio al contrario iniziando una storia da un primo piano si ottiene un effetto di angoscia, perchè l’osservatore non è in grado di capire l’ambientazione e la condizione del personaggio. Questo è funzionale ad un film horror, ad esempio. L’importante comunque è non abusare di questi “trucchi” per creare angoscia, altrimenti si rischia di alienare lo spettatore.


3. Eyelines



La nostra posizione rispetto al soggetto rappresentato. Anche in questo caso, tre possibilità: Normal Angle, in cui guardiamo il personaggio alla pari, negli occhi, High Angle, in cui guardiamo la scena con un senso di superiorità, e Low Angle, in cui il personaggio risulta imponente. In Terminator 2 James Cameron, abilissimo a sfruttare questa tecnica, ad esempio fa in modo che Schwarzenegger sia sempre inquadrato dal basso, anche quando è sdraiato per terra. Se invece vogliamo vedere un gioco più complesso ne Il signore degli anelli di Peter Jackson il personaggio di Frodo viene inquadrato dall’alto, perchè piccolo, ma il suo incedere fiero nonostante la statura ci comunica che è coraggioso, malgrado il compito assegnatogli sia estremamente gravoso.


4. Lens



Le lenti con le quali si realizzano le inquadrature. Con un’ottica standard possiamo vedere un uomo, una pietra davanti a lui e delle montagne sullo sfondo. Passando a un Wide Angle (grandangolo) vediamo come l’uomo rimanga delle stesse dimensioni di prima, mentre la roccia in primo piano diventa enorme e le montagne sullo sfondo diventano piccolissime: questo tipo di ottica esagera la percezione delle distanze, e viene spesso utilizzata nelle pubblicità delle automobili. Al contrario una Telephoto schiaccia le distanze: l’uomo e la roccia sembreranno essere quasi alla stessa distanza, mentre le montagne sullo sfondo diventeranno enormi.


5. Movement



Il movimento. C’è una tecnica preferenziale per indicare il movimento, che consiste nell’utilizzare una… freccia. Questa può essere più o meno elaborata, a seconda dei movimenti, e può indicare qualsiasi tipo di movimento, da semplici spostamenti orizzontali e verticali ad avvivitamenti ed allontanamenti, e così via.



Bisogna però distinguere tra due tipi di movimento: quello interno all’inquadratura, che interessa gli elementi che compongono la scena, e quello esterno, che consiste nei movimenti della telecamera.


6. Numbers



Ovvero la numerazione dei singoli disegni per comunicare all’operatore della telecamera i metodi di ripresa delle singole inquadrature. Se si tratta di due riprese separate le si numera con numeri progressivi: 1 e poi 2. Nel caso invece di una ripresa continua, magari con movimento di camera etc, la cosa si indica aggiungendo una lettera al numero: quindi avremo una scena 1a, 1b etc.


7. The Line



La parte più difficile. Persino George Lucas ogni tanto sbaglia in questo campo. Nei dialoghi tra due personaggi è assolutamente tassativo non porsi sulla linea che idealmente congiunge e attraversa le teste dei due interlocutori. Esistono tre “passaporti” però per sfuggire a questa regola: muovere la telecamera, incrociando ma non indugiando sulla linea, muovere i personaggi, ed infine fare un’inquadratura posta tra i due interlocutori, il cosiddetto shot between, che prevede quindi un primo piano. Un’interessante quarta proposta è emersa, ovvero quella di un’inquadratura dall’alto che oltre al primo piano offra uno scorcio della nuca dell’altro personaggio.


Finisce così il seminario sui fondamentali della composizione degli storyboard, ma Iain non ha finito di insegnare agli spettatori di Lucca sul come tirare fuori il proprio lato artistico.

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