mercoledì 6 Novembre 2024

Spiel des Jahres – Critica ludica o solo marketing?

A pochi giorni dall’annuncio dei vincitori del Kinderspiel des Jahres, abbiamo voluto pubblicare un nuovo interessante articolo della rubrica Spielraum scritto dal presidente di giuria in persona: Tom Felber.
La riflessione di Felber ruota attorno alla figura del critico e al difficile rapporto con tutti gli operatori del settore che spesso faticano a comprendere la doverosa differenza di visione che deve necessariamente esserci per via dei differenti ruoli e interessi. E' interessante notare come alcune pratiche tipiche dei mercati emergenti (come il nostro) siano in uso anche in un mercato di riferimento come quello tedesco.
Anche queste considerazioni, ci aiutano a comprendere meglio l’opera di selezione che la giuria del premio più prestigioso del settore ha attuato e che condividerà con noi lunedi per quanto riguarda il Kinderspiel (il premio per i più piccoli) e il prossimo 14 luglio per la categoria principale e quella per esperti.

Critica ludica o solo marketing? di Tom Felber (Presidente dello Spiel des Jahres)

La giuria dello “Spiel des Jahres” è una giuria di critici. I membri della giuria scrivono regolarmente recensioni di giochi e sono obbligati ad essere indipendenti. Però chi scrive di giochi si incammina automaticamente su un difficile crinale tra critica e PR, perché ogni testo che ha a che fare con un gioco assume immancabilmente le fattezze di marketing. Ci sono addirittura lingue maligne che ritengono che lo “Spiel des Jahres” non sia altro che un ufficio marketing per il settore ludico.

Poiché le decisioni della giuria dello “Spiel des Jahres” hanno un notevole influsso sul successo di un gioco, i giurati esercitano un potere indiscutibilmente grande. Già solo per questo motivo sono obbligati a scrivere recensioni da una posizione neutrale ed indipendente ed a mantenere le distanze dal mondo del gioco e dai suoi esponenti. Questo è parte della natura delle cose e non ci dovrebbe essere bisogno di ulteriori spiegazioni.

Tradurre in pratica questo concetto di base è però una grande sfida, perché alle fiere ed alle manifestazioni si incontrano inevitabilmente esponenti del mondo ludico. Quello che dopo undici anni in giuria ancora mi sorprende è quanta incomprensione e irritazione ci siano nei miei confronti ogni volta che spiego e difendo il concetto della distanza.

Ogni volta sento ripetere dai rappresentanti del mondo del gioco, dagli editori o dagli autori sempre lo stesso discorso da compagnoni: “Abbiamo tutti gli stessi interessi, siamo nella stessa barca e vogliamo che si vendano più giochi e che venga promosso il gioco come bene culturale”.

Sbagliato! Non abbiamo gli stessi interessi.

Una casa editrice ha come interesse che quanti più possibile dei suoi giochi vendano quanto meglio possibile.

Un autore ha come interesse che quanti più possibile dei suoi titoli vengano pubblicati.

Lo “Spiel des Jahres” invece ha l’interesse che vengano pubblicati buoni giochi. A volte i critici di giochi credono fermamente che ci siano giochi che sarebbe stato meglio non pubblicare.

Se le case editrici e gli autori avessero effettivamente gli stessi interessi dello “Spiel des Jahres”, allora la giuria sarebbe completamente superflua, perché che senso avrebbe, nel diluvio di novità, cercare giochi interessanti e meritevoli di essere consigliati? Il vincitore dello “Spiel des Jahres” ha così tanto successo proprio perché il mercato viene annualmente sommerso da un’enorme quantità di trash e di giochi che hanno al massimo una qualità media.

Giusto per evitare fraintendimenti: personalmente non ho niente contro il trash. Anzi, adoro alcune cose trash e sono pure convinto che il trash sia strutturalmente necessario per mettere al sicuro le basi finanziare delle case editrici e degli autori, in modo che giochi qualitativamente superiori e più complessi possano vedere la luce. Ho anche una certa comprensione per la frase che mi viene spesso rivolta: “E’ assolutamente normale che in ogni forma culturale ci sia molta roba trash e di qualità media”.

Certo, è naturale, ma come critico ludico e giurato il trash e la media sono i miei nemici naturali. Qui la mia posizione è totalmente opposta a quella dei rappresentanti delle case editrici e degli autori, che devono e vogliono guadagnare soldi. Non siamo sulla stessa barca.

Perché quando come critico ludico mi propongo, come del resto fanno anche molti rappresentanti delle case editrici, molti autori e molti giocatori abituali, che i giochi vengano considerati dalla società seriamente come cultura, allora devo ammettere che il trash e la qualità media non sono molto utili a portare avanti questo proposito.

Negli anni passati da un lato si è dovuta constatare con dispiacere una marcata riduzione delle rubriche dedicate ai giochi nei media; dall’altro è mia personale opinione che sia diventato più difficile (e non più facile) comunicare ai non giocatori l’importanza dei giochi come bene culturale e ricevere comprensione per la naturale richiesta che i giochi siano da collocare alla pari di altre forme di cultura come i libri, i film o la musica. La mia tesi: la causa potrebbe essere che nel frattanto quasi tutte le persone hanno avuto modo di entrare in contatto con i giochi da tavolo, hanno fatto le loro esperienze e si sono fatti una propria opinione in merito. I giochi da tavolo non sono più un oggetto esotico. Molte persone che non giocano, lo hanno fatto e non ne sono rimaste colpite. Spesso queste persone non giocano proprio perché hanno avuto esperienze negative, mediocri  o banali e non vogliono ripeterle. Quando le persone si sono fatte una propria idea dei giochi da tavolo grazie al trash ed ai giochi di qualità media, allora sarà difficile raccontargli che i giochi sono da considerare veramente come cultura. Per questo motivo il trash e la media sono i nemici giurati del critico.

Siamo onesti: con molti giochi ci si accorge relativamente presto che non si tratta di prodotti che cambieranno il mondo. Benché il mondo ludico non faccia che sottolineare la qualità dei giochi moderni, è ben possibile, oggi come in passato, annoiarsi  giocando. Quindi quando i rappresentanti delle case editrici e del mondo ludico continuamente sottolineano quanto buoni sono i giochi, è normale che sorga l’impressione che stiano esagerando. Tutte le scaltre manovre di marketing, anche un George Clooney del mondo del gioco, non bastano a fare un lavaggio del cervello ai non giocatori, se le loro esperienze personali non sono in sintonia con tutte queste lodi. Le persone non sono stupide e non si lasciano prendere per stupide.

Giocare è una forma di Home- Entertainment, che sta in concorrenza con le altre forme di Home-Entertainment. Forse molti giochi non sono poi così interessanti, come molti giocatori appassionati spesso si autoconvincono. Come membro della giuria, che ogni anno prova centinaia di giochi, trovo ancora che alcune serate di gioco, in tutta onestà, siano uno spreco di tempo libero. Non è poi un segreto che la giuria dello “Spiel des Jahres” in certi anni manifesti una certa fatica nel trovare giochi adatti e veramente straordinari per il premio.

L’Home-Entertainment può anche essere trash, ma appena una forma di Home-Entertainment vuole darsi un tono culturale e un’importanza sociale, allora entrano automaticamente in gioco altre esigenze.

Un critico ludico, a differenza di un editore, non può essere dell’opinione che sia sufficiente che un gioco distragga dal tran tran quotidiano, diverta e venda bene. Come critico ludico sono dell’idea che gli editori e gli autori debbano soprattutto creare giochi che siano in grado di reggere la concorrenza con i libri, i videogiochi, la TV, il cinema e l’attività sportiva. Su questo deve richiamare l’attenzione un critico ludico, anche quando ciò risulta essere scomodo.

Ho anche l’impressione che parecchie case editrici e parecchi autori non vogliano proprio creare giochi socialmente e culturalmente rilevanti, il che è per loro perfettamente ok. Forse vogliono davvero solamente vendere quanti più giochi divertenti possibile, fare buoni affari and non offrire alcun facile bersaglio. Infatti nei libri, nei film e anche nei buoni videogiochi vengono spesso trattate delle tematiche di rilevanza sociale: amore, politica, sudore, sangue e lacrime. Di che si parla invece normalmente nei giochi da tavolo? C’è veramente da meravigliarsi che spesso non vengano presi sul serio dal punto di vista culturale?

Un famoso detto che viene sempre messo in bocca a George Orwell, ma che in realtà era giù diffuso decenni prima, recita: “Journalism is printing what someone else does not want printed. Everything else is public relations”.

Mi ripeto: come recensore di giochi si sta in equilibrio sul filo del rasoio tra lavoro giornalistico e PR.

Trovo piuttosto imbarazzante il positivismo, che talora viene diffuso nelle recensioni da parte dei giocatori appassionati. Nel giornalismo ludico sguazzano, come è naturale, persone, che sono al tempo stesso giocatori appassionati. Con la loro spinta vogliono diffondere e promuovere la cultura ludica e considerano quasi come una missione  convincere le altre persone del valore del gioco. Sono spesso persone a cui quindi manca il necessario distacco.

Il distacco però è importante. Il desiderio di voler in qualche modo far parte della grande famiglia della mitica scena ludica è in ogni caso una motivazione sbagliata per iniziare, come giocatori, a scrivere recensioni.

Talvolta si ha l’impressione che le recensioni vengano scritte solo per finanziare l’hobby del recensore, che così può ricevere i giochi gratuitamente. Ci sono scrittori, che del non pestare i piedi a nessuno nei loro testi hanno fatto una forma d’arte. Il bisogno di armonia e affetto è umano, ma per l’attività di un critico è una premessa completamente sbagliata. Chi cerca l’armonia non è la persona giusta per questa attività e dovrebbe cambiare mestiere. Chi ha bisogno di affetto dovrebbe comprarsi un cane!

Spesso sento dire dai recensori, che lo scopo dei loro articoli è dare consigli ai consumatori, quindi non ha alcun senso recensire brutti giochi. Le stroncature non servono a nessuno. Secondo la mia lunga esperienza e a giudicare dalle reazioni di molti lettori questo è un grosso errore. Senza oneste stroncature nessuno diventerà mai un critico credibile. Inoltre, per fare un servizio al gioco come bene culturale, bisogna mettere in guardia i lettori dalle brutte esperienze. D’altro canto chi descrive solo giochi degni di essere consigliati tutela la pace e previene reazioni spiacevoli.

Nel leggere le recensioni dei giochi auguro spesso al recensore un maggior coraggio verso l’onestà. Si dovrebbe scrivere di un gioco così come se ne parlerebbe nella cerchia dei propri amici. Posso comunque capire i recensori esageratamente cauti, perché ho regolarmente a che fare con le particolarità del mondo ludico. Nel settore del gioco, al contrario di altri settori, regna un’armonia quasi surreale. Le relazioni personali sono decisamente familiari, civili e comprensive. I redattori di case editrici in concorrenza si scambiano regolarmente informazioni. Gli autori, che commercialmente competono tra loro, provano i giochi assieme. Tutti si comportano come se appartenessero ad un’unica grande famiglia. La competitività è poco marcata. Ci si aiuta l’un l’altro, con effetti assolutamente belli e positivi. Ma naturalmente non ci si deve meravigliare, se poi molte persone reagiscono in modo estremamente sensibile alle critiche e si sentono subito attaccati personalmente. Fortunatamente al rapporto con le critiche ci si può allenare. Come soddisfazione per tutti i criticati voglio ricordare che i singoli giurati dello “Spiel des Jahres”, prima e dopo la decisione, sono sommersi da così tante critiche, quante un autore di giochi non riceverà sicuramente mai in tutta la sua vita.

(Articolo originale – traduzione a cura di Fabrizio Paoli)

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