Anche quest’anno a Lucca Comics & Games si stanno tenendo i Gioconomicon Talks, incontri organizzati dalla nostra testata per approfondire tematiche inusuali relative al mondo del gioco!
Nel primo incontro di questa edizione, tenutosi oggi 28 ottobre, ci si è interrogati sulle ragioni che inducono una persona (più o meno sana di mente) ad aprire un negozio di giochi. Follia, passione o mera cupidigia?
Che tema noioso… penserete!
Decisamente no, vista la qualità degli interventi in sala… e poi, se non li trattiamo noi, di questi temi, chi se ne occupa in Italia?!?
Moderato dal nostro Massimiliano Calimera, l’incontro è iniziato con la relazione di Umberto Rosin, ricercatore del Dipartimento di Management della Università Ca' Foscari, che durante l'ultimo anno ha condotto un'approfondita ricerca su chi lavora nel settore dei giochi di società (comprendendo l’intero settore, giochi di ruolo, da tavolo, di carte collezionabili e non, e di miniature).
La ricerca è stata basata su più di 100 questionari, sottoposti a professionisti del mondo del gioco (negozianti e venditori di tutta Italia) e su una trentina di interviste con proprietari di negozi del settore. I dati sono stati poi integrati da informazioni raccolte da siti web e materiale stampato.
E da questa ricerca, il primo elemento che emerge è che lo si fa esclusivamente… per passione!
Alla domanda “quali motivazioni ti hanno spinto a entrare professionalmente nel modo dei giochi di società?” su 102 risposte, 86 sono “per passione” e a queste andrebbero aggiunte altre 7 “per ragioni assimilabili”. Siamo oltre il 90%, un plebiscito di dimensioni bulgare!
L’analisi di Rosin si basa sulle teorie di una corrente di psicologi canadesi che definiscono il “modello dualistico di passione”, intendendo con passione la forte inclinazione dell’individuo verso un’attività che definisce l’io, al punto da amarla, e nella quale si investono tempo ed energia.
In questa visione dualistica, da un lato si ha la passione armoniosa, quella cioè che non risulta conflittuale verso altre attività della vita.
E per fortuna Rosin ci assicura che il settore è trainato da una passione di tipo “armonioso” (se si considera che altrimenti si sarebbe potuto trattare di passione ossessiva, parenti e compagne/i di negozianti ludici possono ringraziare il cielo!).
Comunque sia, non c’è niente da fare… il cuore è più forte della ragione e così dalla ricerca emerge che a tutto pensano i negoziati, fuorché a diventare ricchi!
Le declinazioni delle motivazioni vanno da “voglia di trasformare la propria passione in lavoro” a “socializzare con le persone e passare il tempo con gli amici/clienti”.
Fa molto The Big Bang Theory ma probabilmente avremmo dovuto già saperlo!
Si configura quindi un modello interessante di mondo economico, in cui la passione è centrale.
A riprova di ciò, la ricerca di Rosin ha misurato anche quanto un venditore “reciti” davanti al suo cliente (quanto cioè si adatti al suo interlocutore per portare a buon fine la vendita).
I valori ottenuti su questa scala sono risultati del tutto irrilevanti!
Da ciò risulta l’autenticità della passione dei venditori di giochi nostrani, alcuni dei quali arrivano a vedere la pratica ludica come una missione (tirar via i giovani dalla strada e dall’apatia).
Ma come sempre, anche questa bella medaglia ha il suo rovescio! E si registrano bassi livelli di profitti, livelli minimi di sussistenza, fallimenti e frustrazioni personali (“è diventato un lavoro” o “ormai è solo routine”).
Si constata quindi che tanto alto è il livello della passione iniziale quanto più diventa drammatica la sua caduta durante la pratica professionale nel lungo periodo. Anche perché nel mondo del gioco è scarsissimo l’impegno con cui si cerca di mantenere e aumentare la passione, a differenza di altri settori in cui gli investimenti sugli operatori al riguardo sono realmente ingenti (attraverso counselling, coaching, ecc.).
Come se ne esce? Cambiando il “job design” del negozio di giochi, prova a proporre Rosin, e coordinando centralmente questo cambiamento attraverso l’attività di organizzazioni di categoria (del tutto ancora inesistenti da noi) che potrebbero investire su alimentazione e accrescimento della passione di ogni operatore. Eventualmente anche grazie al supporto delle associazioni ludiche che potrebbero affiancare i punti vendita in attività di proselitismo e animazione.
È a questo punto che sono intervenuti gli altri ospiti dell’incontro, professionisti in carne e ossa invitati a testimoniare le loro esperienze sui tre distinti canali di vendita (negozio, catena e online) cui tutti noi ci rivolgiamo.
È Mirella Vicini del negozio Stratagemma di Firenze a iniziare dichiarandosi di riconoscersi nel modello descritto, anche se rivendica subito il ruolo di commerciante del venditore di giochi!
Oltre a sfatare il mito del “gran business” legato al mercato del gioco, afferma che serve dedizione, che bisogna “portare avanti un credo” ( e qui sembra pienamente allineata con il quadro di Rosin!), non demoralizzarsi e cercare il coinvolgimento delle associazioni. Ma su quest’ultimo punto chiede serietà e impegno anche dai giocatori (citando casi di associazioni composte da sole due persone!).
Si sopravvive, quindi, solo bilanciando la passione con le esigenze pratiche del negoziante e difatti riscontra, in tutto il settore, una sempre maggiore attenzione verso il profitto.
Francesco Messina di uPlay.it parla dei negozi online, esperienza che vive direttamente da due anni. Concorda sull’importanza della passione anche se la vede come un limite oggettivo del nostro Paese, considerando la scarsa notorietà che il mondo del gioco ha da noi. Quindi, per logica, solo se si è un appassionato si può pensare di farlo diventare un lavoro.
La sua competenza informatica e l’esperienza professionale maturata nel più ampio mercato delle vendite online lo porta a considerare che il venditore sul web può anche essere un movimentatore di scatole. E infatti stigmatizza tutte quelle realtà di commercio ludico online che basano la loro offerta solo sulle battaglie dei prezzi (aspetto che comunque caratterizza tutti gli operatori di questo canale, anche grazie alle spese di gestione di gran lunga inferiori rispetto ai negozi su strada). Per contro, valorizza il negozio fisico come un patrimonio da difendere, per i servizi che rende alla diffusione della cultura ludica.
L’intervento di Luca Franchini, responsabile della catena di negozi Games Academy, è stato decisamente in controtendenza.
Per lui di passione ce n’è anche troppa! Quello che manda è la professionalità, anzi per essere più precisi l’attitudine imprenditoriale.
Un buon negoziante deve saper gestire aspetti contabili, perseguire i margini e avere volontà imprenditoriale.
Fa numeri ed esempi. Se vuoi aprire un negozio devi avere almeno 50.000 euro da investire, e devi sapere che il tuo compito sarà soprattutto, a serranda abbassata, far andare bene i conti!
Anche per lui si tratta di trasferire competenze tra professionisti, ma esclusivamente di natura imprenditoriale!
E cita i casi della Games Workshop o della Wizards of the Coast, che anche in Italia gestiscono i loro seminari con gli store manager parlando di produzione e cicli di vendita, e non di eventi o tornei.
Per questo Games Accademy ha creato un forum privato dei direttori di negozio, attraverso il quale ci si possa trasferire esperienze e condividere idee e soluzioni.
Insomma, dal tono degli interventi risulta evidente che gestire un negozio di giochi non è esattamente come aprire una scatola dell’ultimo titolo di successo e farsi una partita dopocena.
E voi, che ne pensate?
Vi abbiamo convinto a ponderare l'idea più attentamente o siete ancora convinti di investire nel settore quel gruzzoletto che avete da parte?
Se volete rivedere il Gioconomicon Talks dello scorso anno sullo stato di salute del mercato ludico italiano (con ospiti del calibro di Asterion Press, DV Giochi, Editrice Giochi, Giochi Uniti, Nexus Games International e Wizards of the Coast) lo trovate qui