Anche il boardgame vanta ospiti d'eccezione a Lucca Games 2012: ben quattro special guest, il poker d'assi del panorama autoriale italiano: Francesco Berardi, Paolo Mori, Emiliano Sciarra e Alessandro Zucchini.
A loro Lucca ha dedicato un incontro di approfondimento per conoscerne esordi, storia e successi, oltre che tutte le difficoltà legate a questo complesso profilo professionale.
Quello che segue è un resoconto dettagliato di come si è sviluppato l'incontro di oggi, nella sala Giovanni Ingellis, che si sarebbe protratto anche più a lungo dei 45 minuti a disposizione, se non fosse per le esigenze del serrato palinsesto di Lucca Games.
Silenzio, musica in sottofondo, entrano gli autori. Il primo a calcare la scena è l’Asso di Cuori, Francesco Berardi, Manager di Clementoni. A fare da sottofondo la musica de “Le Iene”, celebre film di Tarantino, ma anche programma televisivo la cui licenza ha fatto da sfondo per uno dei suoi ultimi giochi. Subito dopo è il turno dell’Asso di Quadri: Paolo Mori, designer freelance famoso per i suoi Vasco de Gama e il neonato Libertalia, che entra celebrato dalla colonna sonora di “Piraiti dei Caraibi”. Terzo a prendere posto sul palco l’Asso di Picche: Emiliano Sciarra, autore di professione grazie al successo internazionale del suo Bang! e all’appena lanciato Samurai Sword, accompagnato dalle indimenticabili note di “Per un pugno di dollari”. Ed infine l’Asso di Fiori, Alessandro Zucchini, autore del gruppo Studiogiochi, specialista del settore accompagnato dalle note degli Who, ritornate alla celebrità con la colonna sonora di CSI.
A moderare l’incontro Fabrizio Paoli, responsabile dell’Independence Bay nello staff di Lucca Comics & Games.
1. Iniziamo col raccontare la vostra esperienza, come siete diventati autori di giochi?
FB: Potrei partire dalle elementari. Creare giochi è qualcosa che facevo già da piccolo con carte napoletane, con carta e penna, con dei quiz con gli amici… La svolta vera è stata nel 2004, quando ho pensato di scrivere un libro con la raccolta di questi giochi. Lavorandoci ho pensato di fare un gioco ispirato alle carte tradizionali ma con 5 semi al posto di 4 e proporlo alla Dal Negro come nuovo gioco. Da lì poi ho scoperto il premio Archimede e le fiere ludiche, Lucca e Modena in particolare. Iniziando a frequentare questi eventi, dopo un paio d’anni, ho anche iniziato a proporre i miei prototipi agli editori. Il primo lavoro nel settore è arrivato nel 2006, quando ho iniziato a collaborare con Focus Giochi proponendo labirinti sulla rivista e passando poi a giochi di matematica e di parole.
La vera svolta è avvenuta quando nel 2010 ho perso il lavoro come informatico. Da lì ho iniziato ad inviare curricula sia ad altre aziende informatiche che ad aziende ludiche (in realtà speravo più di essere preso da queste ultime), finché non sono stato contattato dalla Clementoni dove, colpiti dai giochi già pubblicati tramite Focus, mi hanno proposto l’inserimento.
PM: come sono diventato autore di giochi? Facendo giochi. Il mio non è un lavoro Full time, in realtà nella vita faccio tutt’altro. Quello dell’autore è il mio “Alter Ego”. Facevo già qualcosa da bambino, ma tutto è cambiato quando sono rientrato nel mondo del gioco “moderno” ed europeo, scoprendo l’importanza dell’autore e quindi questa professionalità. Ho iniziato a progettare i miei primi giochi, tutti da buttare dopo il primo test. A quei tempi un autore mi diceva: butta alla svelta i tuoi primi 100 giochi, sarà solo dopo quei primi prototipi che inizierai a fare i bei giochi. Ho anche creato una community di autori: inventoridigiochi.it. Nel 2006 finalmente ho pubblicato il mio primo gioco e da lì è cambiato il modo di rapportarmi con gli autori e gli editori di giochi.
ES: la mia storia è simile a quella di Berardi, anche io da piccolo mi divertivo ad inventare giochi miei. Poi a 15 anni ho scoperto il computer e per 20 anni ho trasfuso la mia passione nei videogiochi. Nasco infatti come autore di videogames (ndr: nel 1988 il suo primo gioco è stato Ciuffy, uno sparatutto a scorrimento). Finché tra i primi anni ’90 ed il 2000, grazie a degli amici di Civitavecchia, non mi sono riavvicinato alle convention ludiche ed al mondo dei giochi da tavolo. Proprio in quegli anni ho ripescato dal cassetto l’idea di un gioco western. Un’ambientazione scelta per il senso di sfida che genera e per il fatto che è conosciuta a tutti. Da lì è nato “Bang!” e subito dopo, grazie al suo successo, mi sono potuto permettere il lusso di essere games designer “Full time”. Le mie produzioni successive si sono incentrate molto sulla creazione di espansioni ed evoluzioni per questo titolo, o di varianti sul tema: quali Samurai Sword. Quello che ho imparato è che quando il gioco diventa una professione al 100% bisogna anche seguire le indicazioni del mercato per poter vendere i propri prodotti.
AZ: La mia nascita come autore è molto legata a Lucca. Ho iniziato partecipando al premio gioco inedito nel 2004, vincendolo. Subito dopo ho partecipato al premio Archimede a Venezia e da lì è nata la mia carriera di autori di giochi. Successivamente abbiamo messo insieme un gruppo di autori e di sviluppatori: il gruppo Cogistudio a Carpi. Siamo poi in contatto con Studiogiochi di Venezia, sviluppando con loro una cooperazione che continua tuttora. Due anni fa sono stato nominato in Germania allo Spiel Des Jahres, con Turi Tour, e tuttora il mio lavoro continua con i colleghi di Carpi.
2. Vorrei rivolgere una domanda ad Emiliano e Francesco, entrambi di formazione scientifica ed informatica. In che modo questa formazione influisce e vi aiuta nel vostro lavoro?
ES: Parecchi autori di giochi hanno a che fare con informatica e materie affini. Credo che la formazione scientifica e di tipo matematico possa contribuire in qualche modo, dando strumenti di base quali il calcolo delle probabilità e la gestione delle risorse. Non serve comunque una preparazione accademica. Bastano le prime pagine di un libro di statistica, molto buonsenso e molta umiltà e sincerità con se stessi. L’importante è sempre capire che quando le cose non vanno è inutile andare avanti. Ovviamente più la matematica entra in un gioco e maggiore ne è l’astrazione, fino ad arrivare ai giochi completamente astratti dove l’approccio scientifico è indispensabile.
FB. La base matematica ti aiuta a superare i primi 2 o 3 test mentali sul bilanciamento del gioco, permettendoti di capire da subito se il gioco funziona. Tuttavia, se ci si basa solo su concetti matematici, il gioco rischia di diventare arido. Oltre a matematici, ci sono autori di provenienza dal mondo della grafica o della musica. Non ci accomuna solo l’approccio scientifico quindi ma anche la creatività declinata attraverso altri ambiti.
3. Passiamo ora a Paolo ed Alessandro, che ha a che fare con un gran numero di autori, che consiglio dareste a qualcuno che vuole intraprendere questa strada?
PM. Innanzi tutto Fatelo. I consigli da dare in realtà ce ne sono tanti o nessuno, a seconda di con che spirito approcciate il mondo ludico. Se partite con l’idea di “spaccare il mondo” e con il preconcetto che le vostre idee sono le migliori di tutte, partite con un approccio sbagliato. Quello che raccomando è il confronto costante.
Un esempio su tutti è quello del collaudo dei giochi, momento in cui si ricevono i commenti dai giocatori che provano il prodotto. La cosa peggiore che si può fare è essere sulla difensiva giustificando le varie scelte. Se volete fare un gioco per gli altri dovete accogliere le critiche dei giocatori e degli altri autori come spunti costruttivi.
Un altro esempio è la paura che vengano rubate le proprie idee. Questo preconcetto porta a 2 approcci sbagliati: il primo è che l’universo ludico sia fatto da persone disoneste. Il secondo è che si abbia tra le mani il gioco del secolo, il nuovo Monopoli. Se voi pensate di avere il nuovo Monopoli non fate questo lavoro. Se avete idee che pensate possano funzionare e senso critico allora forse siete sulla buona strada. Non diventerete ricchi con questo lavoro, forse lo è diventato Emiliano, anche se si spaccia per un borghese come noi, ma non rinunciate al vostro lavoro per dedicarvi ad essere autori e pensateci più volte prima di autoprodurvi quando gli editori vi dicono di no.
AZ: La mia esperienza con il premio Archimede mi ha permesso di conoscere molti autori. Molti di questi si adagiano sulle proprie idee e non ascoltano i suggerimenti che gli diamo. Soprattutto non ascoltano i consigli su come modificare il proprio gioco perché sia più appetibile per un editore. Con la nostra piccola esperienza conosciamo gli editori e cerchiamo di dire ai partecipanti del premio quali sono le caratteristiche da tener d’occhio. Non tutti però recepiscono positivamente queste segnalazioni. In realtà comunque la passione è la prima cosa. L’approccio scientifico è necessario, ma un gioco deve avere un’anima, qualcosa che lo renda diverso e particolare. Cercate questa nei giochi.
4. Nel vostro percorso quali ostacoli avete incontrato nel diventare autori di giochi?
ES: La difficoltà più grande è quella di farlo diventare una professione vera e propria. Il mercato in Italia è molto piccolo. E’ quindi difficile nel nostro paese che essere autori di giochi diventi un lavoro vero.
Altro grande problema è il trovare un buon gruppo come playtester. Un gioco va sviscerato e per questo la fase di test è indispensabile e fondamentale. Servono persone completamente indipendenti e con cui l’autore non deve interferire. La difficoltà è proprio il trovare giocatori che non vedano il gioco come la creazione di un amico o di un collaboratore. Infine individuare un gruppo affiatato, competente ed eterogeneo. Se faccio provare un gioco ad un gruppo di wargamer avrò dei commenti molto simili che potranno condurmi a scelte sbagliate. L’eterogeneità del gruppo mi permette invece di mantenere l’equilibrio.
FB: La grande difficoltà che ho avuto nei primi anni della mia attività è stata l’assenza del background culturale necessario. Fino ad 8 anni fa i giochi conosciuti erano quelli della GDO (Grande Distribuzione Organizzata). Quando inventavo giochi e mi confrontavo con gli altri autori questi mi segnalavano riferimenti a titoli da me ignorati. Il mio lavoro si confrontava spesso con la mancanza di conoscenza dei giochi più specializzati. Da qui il mio consiglio è di giocare tanto e giocare di tutto, così come un buon scrittore ha bisogno di leggere tanto.
PM: La principale difficoltà che ho trovato, facendo questo lavoro nel tempo libero, è il cercare di organizzare l’attività. Non avendo delle scadenze e dei tempi fissi mi sono trovato a darmi da solo obiettivi e tempi. I miei scaffali oggi sono pieni di giochi nel cassetto che ho lasciato perdere per mancanza di organizzazioni e strutturazione dell’attività. Una cosa quindi che aiuta molto è il cercare di darsi delle scadenze e degli incontri di test fissi per finalizzare i propri progetti. Fondamentali inoltre l’evitare di perdersi d’animo. Se le risposte ai propri test da parte degli editori sono negative, l’importante è riconoscere i limiti dei propri giochi e riprendere in mano il prototipo successivamente. Mai perdersi d’animo.
AZ: Per me è stato indispensabile il mio gruppo. I momenti di demoralizzazione sono tanti ed il supporto costante è stato fondamentale per portare avanti il lavoro. Quanto all’organizzazione l’interagire tra di noi ci ha permesso di strutturarci per portare avanti il lavoro nel tempo libero (mogli permettendo).
5° Domanda: Considerando quanto sono diventati accessibili gli strumenti produttivi e l’autofinanziamento, soprattutto oggi che il tema del crowd founding è sempre più diffuso, siete mai cascati nella tentazione di autoprodurvi?
PM: Questo sarebbe un discorso che merita un incontro tutto a sé. La tentazione in realtà c’è. Soprattutto quando i rapporti con l’editore non sono facili. L’impressione che ha un autore è sempre che l’editore ci guadagni un po’ di più sfruttando le tue idee.
Personalmente ho sempre resistito, sono molto scettico su chi decide di autoprodursi. L’editore in realtà è un filtro molto importante verso il mercato. Se si arriva all’idea che: “5 editori mi hanno rifiutato il gioco e quindi lo faccio da solo” non si ha capito niente. Se il gioco è stato rifiutato da 5 editori un motivo c’è, e probabilmente vuol dire che è brutto.
Infine in un’autoproduzione entrano in gioco moltissime competenze che non riguardano il game design. Spesso si sottovalutano le competenze dell’editore in fatto di grafica, distribuzione, produzione e promozione. In un gioco il ruolo dell’autore è importante, ma non sempre è il più importante. Sono numerosi i giochi sostanzialmente brutti ma che, perché prodotti bene, hanno più successo di giochi con meccaniche eccezionali.
ES: Anche io sono molto scettico sull’autoproduzione. Penso che porti ad una scarsa crescita professionale degli autori, togliendo il confronto con un professionista come l’editore. Quest’ultimo ha tutto l’interesse a pubblicare un gioco quando vale. L’editore conosce le meccaniche che funzionano e non funzionano e perché. Quando i giochi vengono rifiutati viene anche data un’accurata spiegazione delle ragioni del rifiuto, e questa è un’opportunità indispensabile per la crescita degli autori. Il mercato oggi è invaso da una pletora di giochi che non hanno un filtro editoriale e finiscono solo con il generare del rumore, distogliendo dai prodotti di qualità.
Tempo fa vidi Spartaco Albertarelli, un punto di riferimento per tutti gli autori di giochi, confrontandosi con un titolo autoprodotto e trovare 25 difetti solo sulla scatola, senza neanche aprirla. Non perché gli piaccia fare il critico o il giudice, ma perché nell’editoria ci sono tantissime competenze fondamentali che spesso vengono viste solo come accessorie da parte di chi passa all’autoproduzione.
In realtà non succede quasi mai che un autore abbia anche tutte le conoscenze e le competenze per realizzare un gioco.
AZ: Come esperienza personale nel 2005 col mio gruppo dovevamo autoprodurci. Credevamo molto in un gioco, chiedemmo preventivi, ci informammo per Essen, ci tenevamo tanto. In quello stesso periodo siamo stati assorbiti da Studiogiochi, il gioco ha preso un'altra strada e l’abbiamo presentato presso gli editori, capendo realmente l’importanza di questo confronto. L’esperienza ci è servita come scuola, portandoci a scartare questa scelta.
FB: Vorrei solo aggiungere, oltre ai problemi legati alla competenza, anche la necessità di un editore per tutto ciò che riguarda la promozione, l’allestimento di stand, la proposta al pubblico…
6. Quando create un gioco qual è la molla che vi spinge, l’idea, cosa state cercando?
AZ: Dipende da momenti, istanti. Magari basta vedere un film in tv o solo andare per strada… Qualunque cosa mi può ispirare un’idea. E’ difficile individuare il punto di partenza. Io ho un approccio molto naturale, spontaneo e poco scientifico. Una volta ho creato un gioco casualmente con mia figlia, vedendola impilare dei cubetti con cui giocava, da lì è nato Mord im arosa. Quando inizio dall’idea poi cerco sempre di trovare qualcosa, un particolare, un concetto… Qualcosa che possa contraddistinguerla.
ES: Anche per me è la stessa cosa. E’ difficle trovare un punto di partenza. E’ come chiedere ad un musicista o ad uno scrittore da cosa scaturisce la sua idea. Io preferisco partire dall’ambientazione, dalla semplificazione di una situazione reale facendola a gioco. In genere tutto può essere da stimolo per una scintilla creativa da declinare in meccanica ludica. Questo vale per qualsiasi forma d’arte, e quella dell’autore di giochi non è da meno.
PM: Tante cose diverse. Tante idee che mi vengono giocando male ad altri giochi. Sbagliando le regole mi dico spesso: in realtà sarebbe interessante se potesse funzionare così. Tutto ovviamente cambia nei casi di giochi per commissione, dove ti dicono come devi fare il gioco e con quali componenti. Lì il tutto diventa meno creatività e più artigianato.
In realtà nella mia testa è difficile identificare la nascita di giochi singoli. Da un lato ho una serie di meccaniche e micromeccaniche che conosco, dall’altro ho ambientazioni che mi ispirano e poi, all’improvviso, in un Big Bang creativo e primordiale, il tutto genera l’idea ed il gioco.
FB. Spesso mi baso su altri giochi o su cose che mi capitano nella vita. Un giorno vedendo dei bicchierini a testa in giù sulle mensole della mia cucina ho creato un gioco d’aste. Per me partire dall'ambientazione è a volte una scelta obbligata: da quando lavoro per Clementoni spesso mi trovo a fare giochi su commissione o su licenze da tv o cinema, come per “le Iene” o per i giochi della Disney. I criteri per questi titoli sono: rispettare l’ambientazione, i costi ed il materiale che si ha a disposizione, legandoli alle meccaniche. In questi casi la creatività sta proprio nel realizzare qualcosa di proprio ed originale attraverso tutti questi paletti.
7. Quali sono gli errori di design più comuni che affrontate?
PM. Sono una quantità smodata e con una varietà pazzesca. Due cose per tutte: 1 la confusione tra gioco complesso e gioco complicato, l’ideale è sempre quello di fare un gioco complicato ma non complesso, quindi con poche regole ma molta varietà e molte scelte. 2, quando ti ritrovi davanti ad un gioco che fluisce bene e che si gioca da solo, tutto sembra andare automaticamente al proprio posto. Quando succede spesso è perché nel gioco mancano le scelte e ti vedi sfumare tutta la soddisfazione che avevi nello sviluppo.
ES: Il gioco complicato è interessante perché stimolante, perché con molte scelte, ma poi rischia di diventare troppo complesso, portando verso scelte errate. L’ideale è sempre fare un gioco complicato al massimo ma con una sola regola. Purtroppo spesso il gioco più si complica e più diventa complesso. Bisogna cercare di restare nel limbo tra questa complessità nelle cose da fare nel gioco e la semplicità nelle regole. Il divertimento di un gioco che si apprende facilmente è universale e trasversale. E’ un divertimento genuino e non celebrale, come invece accade nei giochi complessi.
FB: Confermo l’inutile complessità delle regole, non amo i giochi troppo lunghi. Spesso la cosa che sembra più semplice, per aggiungere scelte al gioco, sembra essere l’aggiungere regole, in realtà non è così. Queste rendono solo il gioco più complicato. Attualmente buona parte del mio lavoro consiste nel fondere le regole per rendere il gioco più accessibile da un target più ampio possibile, soprattutto ora che realizzo giochi semplici o per bambini.
AZ: Una cosa che consiglio per evitare la complessità delle regole è scriverle sempre bene, anche in fase di produzione del prototipo. Pensando sempre di spiegare il gioco ad un profano. In questo modo ti rendi conto di meccaniche che sembravano semplici in fase di creazione, ma non lo sono affatto in fase di spiegazione. Questo ti aiuta molto a semplificare le meccaniche. Negli ultimi anni per me è stato un ottimo strumento e qualcosa che tendo a fare sempre di più.
Dopo la fine dell'incontro gli autori sono tornati al loro lavoro di revisione e consulenza, presso il prototype review corner di Lucca, mettendo la loro esperienza a disposizione di giovani esordienti.
All'esterno della sala Ingellis è stata allestita una mostra a loro dedicata.