Il rapporto, o meglio, il non rapporto tra il gioco come lo intendiamo noi e il gioco d’azzardo è un tema che sta coinvolgendo strati sempre più ampi del settore ludico italiano. Soprattutto in conseguenza dei devastanti effetti che il gioco d’azzardo sta provocando sulla vita di un gran numero di italiani.
Dario De Toffoli, autore di giochi, esperto del settore e giornalista, è uno degli esponenti del movimento di opinione che si sta battendo (anche dalla colonne de Il Fatto Quotidiano) contro l’errata commistione tra gioco sano e gioco d’azzardo che troppo spesso emerge attraverso l’uso improprio dei vari termini.
Insieme al giornalista Gianluca Testa, la conferenza di De Toffoli ha trovato il suo innesco proprio dall’uso sempre più diffuso del termine “ludopatia”, con cui gli organi di informazione mainstream tendono a definire erroneamente il fenomeno del “gioco d’azzardo patologico” (questa sarebbe la sua corretta definizione) o, come dicono gli inglesi, gambling disease.
È la radice della parola ludopatia che tende a creare una relazione tanto naturale quanto falsata dell’azzardo con il mondo del gioco sano. La soluzione proposta è in verità molto semplice, e passa attraverso il neologismo “azzardopatia”, la cui adozione rimetterebbe le cose al giusto posto e ricondurrebbe la patologia in questione verso la sua reale origine.
L’azzardopatia in Italia colpisce almeno 700.000 persone. Trovargli un nome corretto non è un capzioso esercizio linguistico, e non è nemmeno un tentativo di chiarire la distanza tra azzardo e gioco, ma può rappresentare un passo importante verso una reale presa di coscienza, a livello sociale, dei devastanti danni di questo fenomeno.
E così è già stato per la una realtà come la UISP, l’importante associazione nazionale che ha acquisito il termine di “azzardopatia” come voce del proprio vocabolario, e che si è fatta carico del problema attraverso interventi concreti, tra cui il rifiuto di far entrare le slot machine nei suoi oltre 1.000 circoli.
De Toffoli ha portato la testimonianza dei molti eventi che si stanno organizzando su tutto il territorio nazionale, in forme e contesti sempre più variegati, sul tema. A Verona, per esempio, durante la manifestazione Toccatì si è tenuto un convegno che ha visto riunite le diverse anime del movimento di opinione, che coinvolge operatori del gioco, della pubblica amministrazione, associazioni e operatori della cultura. Sebbene le posizioni e le logiche di intervento siano spesso anche parecchio diverse, tutti si sono dichiarati d’accordo con il fatto che la promozione della cultura del gioco si rivela un vero e proprio antidoto contro la pratica dell’azzardo, in quanto il gioco “sano e positivo” è fortunatamente in grado di fornire reali anticorpi verso la malattia.
Ma cosa è l’azzardo? De Toffoli lo identifica attraverso due caratteristiche basilari:
– l’assoluta assenza di possibilità del giocatore di incidere con le sue decisioni sull’esito del gioco
– la presenza del denaro come posta del gioco
Questo, oggi, è coniugato con una progettazione dei “giochi d’azzardo” che punta alla rapidità e alla ripetitività compulsiva dell’interazione (si pensi alle dinamiche d’utilizzo delle slot machine digitali). Ne consegue una sorta di stato ipnotico indotto nell’utente che rende la patologia della dipendenza particolarmente drammatica.
Secondo i dati riportati dall’Economist, nel 2013 l’Italia si è posizionata al 4° posto (dopo USA, Cina e Giappone) per perdite procapite nel gioco d’azzardo, presentando un preoccupante primato mondiale riguardo alla diffusione del settore delle slot machine.
E questo, sottolinea De Toffoli, rappresenta una delle ipocrisie che caratterizzano questo fenomeno nel nostro Paese: se da un lato si sono limitati i casinò, dall’altro si è consentita la diffusione delle macchinette delle slot machine, attraverso bar, circoli e sale bingo, rendendo così l’offerta pervasiva proprio verso quegli strati della popolazione che sono più vulnerabili e finendo per fare un grosso favore a quelle realtà malavitose che controllano questo genere di mercato.
Durante la conferenza sono state poste domande relativamente alla distinzione tra giochi d’azzardo e quelli con poste in danaro come il poker. In questo settore, Dario De Toffoli può essere considerato una vera a propria autorità, quindi il suo parere risulta particolarmente illuminante: il suo parere è che il poker non sia un gioco d’azzardo, e a conferma di tale affermazione fa appello alla semplice constatazione che in quel gioco è il più bravo che vince, tanto che il livello dei giocatori professionisti oggi è tale da poter essere raggiunto e mantenuto solo con un impegno e un esercizio costante, paragonabile alla preparazione atletica dei campioni sportivi.
Al riguardo, però, sottolinea un altro paradosso della situazione italiana: da un lato è impossibile giocare a poker nei locali pubblici, ma dall’altro chiunque può condurre online su siti specializzati decine di partite contemporanee da mille euro l’una. Comunque, dice, il poker non dà dipendenza, e non risulta dall’esperienza di operatori sanitari l’emergere di danni patologici nei giocatori di poker.
Un ultima domanda ha consentito di dare alla conferenza una chiave di interpretazione della soluzione del fenomeno: il gioco di azzardo si configura come è un’attività solitaria, come una forma di fuga dalla realtà che si diffonde facilmente in un tessuto sociale disintegrato quale spesso è quello delle nostre comunità, per questo qualsiasi attività socializzante può diventare un ottimo antidoto, e una forma di intervento concreto con cui distogliere le persone dall’azzardopatia.