Lucca Comics & Games è ormai anche sede consolidata di seminari e lezioni di ogni tipo, dalle arti figurative ai nostri amati giochi. Quest’anno a salire in cattedra è stato, tra gli altri, Matt Leacock, un autore ormai consolidato che ha bisogno di ben poche presentazioni: basti citare il suo capolavoro, Pandemic, con tutte le sue declinazioni, tra cui il pluripremiato Pandemic Legacy.
Matt è stato chiamato a esporre a una sala gremita ed estremamente interessata il proprio metodo di game design, che ha chiamato “design game with an onion”. Il perché di questo buffo nome sarà chiaro più tardi.
In realtà Matt ci tiene ad iniziare con un breve resoconto del suo tour italiano. Prima di giungere in Toscana, ha pensato bene di visitare anche Venezia, dove ha trovato un’acqua alta da record. Una buffa situazione per il creatore, tra le altre cose, di Pandemic: Rising Tide.
Rientrato nel più serioso ruolo di insegnante, Leacock si presenta: nonostante il primo Pandemic sia uscito ormai dieci anni fa, è da soli quattro anni che ha fatto del game design una professione full time. Prima di inventare giochi per lavoro, Matt era infatti un informatico nella Silicon Valley. Per questo motivo il suo metodo di game design deve molto alla gestione dei progetti di quella categoria, nonché alla sua sensibilità verso l’usabilità di uno strumento che ha maturato nel corso di quegli anni.
Leacock parte introducendo la classica domanda che tutti coloro si approcciano al game design si pongono: si inizia a lavorare su di un gioco una volta definito un tema o una meccanica? Prima è necessario un piccolo passo indietro, cercando un po’ di teoria: uno dei suoi libri preferiti a questo tema è The Art of Game Design, di Jesse Schell. Riassumendo in breve i principi più moderni, il game designer lavora su quattro pilastri: la meccanica, l’estetica, la storia (non rappresenta solo il tema, attenzione!) e la tecnologia. Per partire a lavorare su un gioco è bene avere qualche idea per almeno due o tre componenti di questa tetrade.
Una visione alternativa è quella cosiddetta MDA: acronimo di Mechanics-Dynamics-Aesthetics. Quale che sia la vostra visione di riferimento, è importante che il game designer pensi da subito anche all'estetica e a come l’esperienza di gioco sarà vissuta.
Prima di partire con i suoi principi, Matt introduce un esempio di gioco che non è stato costruito alla giusta maniera. Per far questo, racconta del primo titolo a cui abbia lavorato: Lunatix Loop, autoprodotto. Si era occupato in prima persona della mappa, dipingendola in dettaglio prima che il gioco fosse completo. Una volta ultimata l’ideazione del gioco, ha scoperto che sarebbe stato meglio cambiare la mappa, ma avendoci speso così tanto tempo, alla fine ha preferito adattare le meccaniche alla mappa piuttosto che il contrario.
Ed eccoci all’introduzione vera e propria del metodo “a cipolla”. Si tratta di un processo iterativo in cinque parti.
– Definire una idea centrale
– Delimitare il perimetro del gioco
– Costruire un prototipo giocabile dall’inizio alla fine
– Bilanciare il prototipo
– Testare e validare il prototipo (possibilmente in un approccio “blind”)
Per quanto riguarda l’idea centrale Matt mostra una foto del processo creativo che l’ha portato al primo Pandemic. Aveva in mente una storia, ma stava ancora giocando con le idee e un mazzo di carte da poker. Quando, in mezzo ai vari tentativi, gli è capitato di mischiare degli scarti e rimetterli sopra il mazzo di pesca, è scattato qualcosa. Ha pensato: “qui c’è un gioco da tirare fuori”. Dopo tre anni di fatiche, usciva Pandemic.
I consigli di Matt per questa fase sono quelli di divertirsi, di esplorare ogni opzione. Lui trova particolarmente utile tenere a portata di mano componentistica di ogni tipo: segnalini, carte, pezzi di cartone, tessere… Quando sembra di aver trovato qualcosa di rilevante, comunque è bene ancora non affezionarcisi troppo, ed essere anzi pronti ad abbandonare l’idea se non siete del tutto convinti o non sapete spiegare esattamente perché qualcuno dovrebbe comprare il vostro gioco tra i centinaia di titoli che il mercato odierno offre.
Per fare un esempio più recente, mostra una pagina del diario di design tenuto da lui e da Paolo Mori per Pandemic: Fall of Rome. Un livello di dettaglio veramente elevato, e pensare che alla fine sono arrivati a circa 140 pagine di documento!
Dopodiché si parte con la fase due: delimitare il perimetro. Anche qui l’obiettivo è sperimentare, cambiare le regole, persino le stesse idee centrali se si ha avuto un’idea migliore. L’importante è essere sempre coscienti della possibilità che il gioco a cui ci si sta dedicando semplicemente possa non andare in porto.
Durante la terza fase si è infine ottenuto un prototipo per cui è possibile fare una partita dall’inizio alla fine. Magari non sarà ancora il massimo del divertimento, alcune regole saranno fallate, il bilanciamento tutto da rivedere, ma l’importante è che ci si possa fare una partita intera. A partire da questa fase si invitano persone per farlo giocare. All’inizio basta rivolgersi ad amici e parenti (qualora compiacenti). Si fornisce un set di regole giocabili e si fa un test. Se ci sono più possibilità in lizza e siete indecisi, fate una lista delle opzioni e provate tutte, se possibile.
Nella quarta fase si inizia a fare sul serio. Qui amici e parenti non basteranno più: sarebbe meglio anzi avere come cavie persone che non si conoscono direttamente! Potranno dare dei feedback più obiettivi, e inoltre potrebbero giocare o interpretare il regolamento in maniera diversa dai vostri soliti gruppi. Le prime partite vengono svolte con Matt presente al tavolo, ma poi sempre più si passa in una fase in cui lui si limita a dare le regole e si mette in un angolo della stanza ad osservare, in silenzio. Il passo successivo è che lui sia del tutto assente dal tavolo di gioco.
Con questi primi risultati, e tanti fogli di calcolo, si lavora a un bilanciamento.
Nella quinta fase, quella di testing e validazione, il livello di dettaglio a cui bisogna pensare è massimo. Il prototipo raggiunge la sua massima diffusione a persone sconosciute, per quanto ovviamente si tratta ancora di una distribuzione controllata. Matt contatta diverse persone, anche via mail, esperte o meno di giochi, e chiede loro di provare il suo prototipo e di registrare un video che li inquadri mentre giocano. I video raccolti sono quindi analizzati con estrema attenzione. Per fare un esempio, per la season 3 di Pandemic Legacy Matt ha circa 200 ore di video da parte. Si annota tutto: controlla se hanno problemi a capire una regola, la rapidità con la quale procedono, il tempo occupato da ogni fase… Controlla anche l’atteggiamento dei giocatori: si sporgono verso il tavolo? Sembrano interessati? Quel tiro di dado, o quella pescata di carta, li ha tenuti in tensione?
Memore del metodo di lavoro per progetti informatici, Matt ha diversi documenti collegati allo sviluppo di un gioco. In questo caso, scrive un log annotando (con i tempi) le parti rilevanti di ogni filmato e lo condivide con gli sviluppatori della casa editrice. Parallelamente mantiene aggiornato un documento di cose da fare (“to do”). Altro esempio attuale: al momento ha circa 6200 note per la stagione 3 di Pandemic Legacy, e non ha ancora finito di svilupparla!
Avendo spiegato tutte e cinque le fasi, andiamo a scoprire perché Leacock definisce questo metodo come iterativo: se durante una fase c’è un intoppo, si innesca un procedimento di Analisi, Prototipazione e Test. La fase in corso riparte praticamente da capo. Può persino capitare di tornare indietro di uno Step o più: certe volte è assolutamente necessario, l’importante è che non sia la norma.
Ovviamente, detto metodo di lavoro è attuabile a questo livello di dettaglio da chi è già un game designer full time. Potrebbe non essere così facile per un autore al suo primo lavoro trovare così tante persone sconosciute a cui far provare il proprio titolo. In ogni caso, si tratta comunque di un ideale a cui tendere il più possibile.
Matt ammette anche la possibilità che le sue tecniche non siano ottimali per tutti i tipi di gioco: alla fine un cooperativo presuppone che i partecipanti al tavolo parlino tra loro, il che fornisce a Matt i vari indizi su come modificare il gioco. Se dovesse un giorno creare un titolo simile agli scacchi, allora la parte visiva del metodo potrebbe fornire meno indicazioni, limitandosi a due persone che giocano tendenzialmente in silenzio.
Terminata la presentazione del suo metodo, il buon Matt si rende disponibile per le domande, e ne viene presto sommerso. Tra i vari dettagli che ha ulteriormente svelato, possiamo dire che ama molto ideare giochi insieme ad altri autori, soprattutto se non ci sono developer della casa editrice che lo possano seguire. Nell’ultima sua fatica, Pandemic: Fall of Rome, concepita insieme a Paolo Mori, la presenza dell’autore nostrano ha anche aiutato Matt nell’affrontare il lavoro su più versioni di Pandemic allo stesso momento.
Il tempo è tiranno e, prima di aver esaurito davvero le domande, Matt Leacock è costretto a terminare il suo seminario. Prima, però, ci lascia un ultimo consiglio: quello di partire da giochi semplici, prima di dedicarsi a progetti in grande stile.
Sperando che questa lezione, pur condensata, possa esservi d’aiuto, anche Gioconomicon vi saluta, sperando di vedervi ancora tra queste pagine!